Fatti vedere da Unobravo…

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Foto: Unobravo.com

Di recente ho avuto il piacere di condividere chiacchierate a vario livello sul tema della salute mentale. In questa forma l’affermazione è decisamente generica, ma di fatto è chiaro che nelle persone esiste una distinzione molto precisa – e probabilmente molto inconscia – tra chi senza colpa ha un evidente problema di salute mentale (ritardi cognitivi, psicosi e affini, per intenderci) e chi invece sta bene. La differenza è semplice: o sei malat@ in forma riconosciuta, visibile e diagnosticata, e quindi generalmente assumi farmaci a supporto e sei seguito da professionisti, magari spesso in apposite strutture, o non hai alcun problema di carattere mentale. Lo stesso atteggiamento si riversa ovviamente nelle cure: o ne hai bisogno perché sei matt@, o non ne hai bisogno affatto.

Ma con chi parli, mi chiederete? Un po’ con tutti e tutte, vi rispondo. Non solo con persone plurilaureate e formate né solo con la gente al bar. Un po’ e un po’. E sì, quello che trasversalmente a queste conversazioni mi stupisce è il taglio netto tra un di qua e un di là, tra salute e malattia. E mi fa riflettere. Perché ancora una volta traccia confini molto definiti dove invece è spesso l’indefinito a farla da padrone; perché ancor più spesso si tende a buttarla in caciara, sviando il discorso appena diventa tangente a se stessi: “io non ho bisogno di farmi aiutare, so come fare”, “non sono mica matt@ io, vacci tu da uno psicologo”, “fatti vedere da uno bravo”.

La psicologa Danila De Stefano, assieme ad altri professionisti del settore, ha proprio raccolto questo invito, utilizzandolo come una riuscita provocazione. Quella appunto di farsi vedere da uno bravo. E anzi, ha chiamato così, Unobravo, la start-up nata dalla sua esperienza londinese con gli expat (italiani residenti nel Regno Unito) che faticavano a trovare “uno bravo” con cui poter affrontare alcuni scogli del proprio vissuto nella propria lingua madre.

Sulla salute mentale è evidente che ancora incomba uno stigma significativo, alimentato dalla paura di poter essere, in qualche modo, considerati anche noi “matti”, o “malati”. Eppure, e questi mesi di pandemia dovrebbero avercelo sbattuto in faccia con la stessa forza del virus, anche noi siamo fragiliFragili, sì, che è una parola che mi piace molto più di altre utilizzate per questi temi. Per il suono morbido che ha, per i significati di delicatezza, cura e attenzione che evoca. Che sono un po’ quelli di cui abbiamo bisogno anche noi. Come un pacco che contiene cristalli, anche noi siamo custodi dei nostri vetri rotti o preziosi, che vogliamo proteggere o provare ad aggiustare. E farlo accompagnati da “uno bravo” non significa necessariamente essere malati o doversi sentire improvvisamente un dito puntato addosso, come se avere voglia o bisogno di aiuto per affrontare alcuni momenti più difficili o alcuni scogli più erti fosse una debolezza, un’incapacità di arrangiarsi virtuosamente e autonomamente, una colpa. 

La sfida di Unobravo è proprio quella di portare sul piano della normalità quel fatto ancora tabù dell’andare da uno psicologo. Il portale è semplice, intuitivo e molto contemporaneo: un team di professionisti certificati, la possibilità di metodi di pagamento diversi, cifre molto accessibili rispetto alla media (45 euro l’incontro individuale, 55 quello di coppia) e opportunità di colloqui online. Qui si gioca la svolta di quest’idea: lo abbiamo fatto con la pandemia di trasferire online buona parte delle nostre vite – e questo trasloco non è stato sempre traumatico, a volte è stato utile, propositivo, ricco di potenziali. Anche le stesse sedute di terapia possono trarne vantaggio: lo dimostrano i numeri (oltre 800 terapeuti attivi) e le richieste che arrivano ai professionisti di Unobravo, abbinati per un primo colloquio conoscitivo al paziente (e credete, mai termine fu più azzeccato come nel caso del lavoro su se stessi, dove la pazienza è una dote che si impara a esercitare nella pratica quotidiana) grazie a un questionario che occorre compilare nel momento in cui si manifesta l’interesse per un percorso di terapia.

Una sfida che il team ha allargato a un bacino di pazienti spagnolo e al settore privato, impegnandosi nella creazione di un servizio dedicato alle aziende e alla promozione della cultura del benessere anche sul luogo di lavoro, ambito dove quando va bene si è molto concentrati sulla formazione del personale o sulla sicurezza fisica e ambientale, ma raramente sulla salute psicologica dei lavoratori. Un obiettivo che coltiva la speranza – e la convinzione – che sia nei luoghi di lavoro, ma ancor prima nella vita familiare e privata, richiedere un supporto psicologico possa essere considerato un’opportunità, o meglio ancora un regalo che ciascuno potrebbe farsi per vivere al meglio la vita frastagliata che ci tocca in sorte o che ci scegliamo, ma che in ogni caso non ci chiama ad essere perfetti e isolati, ma interconnessi e imperfetti, sempre più capaci di accettare le nostre faglie per poter accogliere anche quelle degli altri, migliorando le nostre relazioni e la nostra possibilità di riconoscerci.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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