Missionari. Sempre e solo Santi?

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Intervengo all’interno dell’editoriale del collega Piergiorgio Cattani apparso sul Trentino volutamente in modo antipatico e provocatorio perché mi sta a cuore la Chiesa di frontiera. Solo per distinguermi dallo scritto di Piergiorgio, che ringrazio, sarò in corsivo. Mi scuso anticipatamente con i lettori di Unimondo per lo scritto a 4 mani.

Parlare oggi dei missionari cattolici sparsi nel mondo significa anche rendersi conto di come sia cambiato l’atteggiamento culturale e religioso nei confronti delle popolazioni extra-europee con cui si è venuti in contatto nel corso dei secoli. Un tempo bisognava andare a “convertire”, battezzare, “salvare” quante più “anime” possibile spesso dimenticandosi completamente di incontrare tradizioni millenarie, credenze radicate, stili di vita forse più “primitivi” ma sicuramente più integrati con l’ambiente circostante. Troppe volte i missionari non si distinguevano molto dai bianchi conquistatori, erano avventurieri ed esploratori, e si integravano con facilità nelle strutture dei nascenti stati coloniali.

Il razzismo nei confronti dell’uomo bianco in diversi paesi sudafricani si rifà ancor’oggi a queste imposizioni.

Se all’inizio dell’età moderna in Europa si dibatteva se gli indigeni incontrati in Africa o nelle Americhe avessero l’anima o meno (domanda cruciale perché in caso di risposta negativa, ahimè molto frequente, era lecito sterminarli e appropriarsi delle loro terre), occorre arrivare al Novecento, al secondo dopoguerra, per invertire la mentalità diffusa che si basava sull’assioma che i bianchi europei cristiani portavano la civiltà e la vera fede a uomini di “razza” diversa, abitanti degli altri quattro continenti, adoratori di “dei falsi e bugiardi”.

La cosa persiste anche nel terzo millennio con gli esportatori “manu militare” di democrazia. Non vi sarà vera cooperazione sin tanto che non s’impara a scendere (per chi detta legge in casa altrui..) o salire (per chi sta al servizio di…)per tenta di mettersi alla pari.

Va sottolineato che questo atteggiamento era rivolto soprattutto verso chi non aveva alle spalle una storia e una civiltà più o meno antiche: venire a contatto con la millenaria cultura cinese, per esempio, è stato radicalmente diverso dell’incontro con popoli africani magari ancora privi di scrittura. In ambito cattolico il cambio di paradigma non è indolore e ancora oggi ci si potrebbe chiedere che cosa vanno a fare nel mondo i missionari, perché dedicano e rischiano la loro vita in terre lontane e a volte ostili. Che cosa gli spinge ad andare? Questi eventi, come “Rotte del mondo” ci aiutano a rispondere a queste domande e ci fanno capire che i missionari spesso interpretano meglio di tutti le istanze del mondo globalizzato: conoscono gli squilibri e le povertà, lo sfruttamento e la tumultuosa corsa verso il benessere, le tensioni etnico-religiose e il comune anelito di pace.

A riguardo avrei dei dubbi. Nel campo dell’evangelizzazione il prete ha ancora la supremazia. Un esempio: quanti sono i Centri Missionari sparsi per l’Italia guidati da un laico? Si contano forse in una mano. All’estero, nel campo della promozione umana, al missionario vanno attribuiti meriti importanti. Come tutti noi non sono però esenti da fallimenti, opere inutili e manìe di grandezza. Qui l’esperienza conta poco; anzi. Spesso abbandonati da coloro che li hanno inviati si corre il serio rischio dell’aridità culturale che sfocia nella stantia coltivazione del mito di colui che “lasciò tutto per salvare il mondo”. Forse non comprendendo che il mondo ha bisogno di tutto fuorché salvatori.

Questi uomini e queste donne hanno lasciato il Trentino sicuramente per una forte scelta di fede ma credo soprattutto per il desiderio di incontrare altri uomini e altre donne e magari di imparare qualcosa da loro, per un senso di compartecipazione allo stesso destino, per la voglia di chinarsi sulla sofferenza e di lenire per quanto possibile le ferite. In questo senso i missionari sono i primi portatori di pace, sono i veri agenti di una nuova globalizzazione positiva perché sostenibile da ogni punto di vista: umano, culturale, ambientale. Innumerevoli sono i campi d’azione e di testimonianza.

Non posso certo generalizzare ma la mia esperienza personale conferma la profonda attenzione verso l’uomo ma non verso l’ambiente. È una visione che ha delle motivazioni culturali: all’inizio della Genesi è scritto che Dio creò l’uomo per affidargli il dominio sugli uccelli, i pesci e gli altri animali e nel capitolo terzo si parla di “padronanza sulla natura”. Insomma, mentre v’è attenzione per quasi tutti gli obiettivi del millennio non ho notato altrettanta attenzione al settimo obiettivo: salvaguardia dell’ambiente.

Sicuramente l’Asia ci parla di contatto con grandi religioni, in primis l’Islam, e con profondissime culture, come per esempio quella indiana. Oggi però Asia vuol dire giacimenti di petrolio e di gas, rotte dell’energia, l’enorme continente ci rimanda all’imponente crescita economica della Cina e al conseguente, ulteriore, squilibrio ambientale. I missionari conoscono queste situazioni di sicuro meglio dei giornalisti e dei politici, saccenti e disinformati ma sempre pronti a parlare.

Rispetto a Piergiorgio sarei un po’ più cauto. Per rispetto non solo del collega Federico Rampini che da anni ci narra di Cindia ma anche del nostro Andrea Bernardi. Per non elencare i politici che, nonostante l’elenco degli stati canaglia, hanno mantenuto relazioni importanti di sorellanza attraverso sia la cooperazione decentrata che la loro presenza in Istituzioni internazionali. A riguardo mi permetto di aprire una nuova parentesi. Alcuni missionari, per fortuna una minoranza, si ostinano a denigrare nei loro interventi le Istituzioni Internazionali come le Nazioni Unite che sono il vero “bene comune”al quale s’è giunti dopo sanguinose guerre. Detta minoranza agguerrita, sempre supportata da gruppi locali, tende a criticare la struttura di certe agenzie ONU come se loro non necessitassero di fuoristrada e case accoglienti. Nella loro narrazione v’è spesso l’Io, la semplificazione e mai la complessità dell’intervento umanitario che non può prescindere dalla politica internazionale.

Perché chi vive con gli occhi aperti con la gente e tra la gente del luogo può capire e soprattutto informare. L’utilizzo dei mezzi di comunicazione è un altro aspetto in cui i missionari sono spesso più avanti di noi: le agenzie di stampa che danno notizie nascoste o dimenticate dai grandi circuiti internazionali di informazione, e a volte proprio per questo più significative, sono in mano a missioni che operano con scarsissime risorse economiche ma con risultati eccezionali.

Anche qui permettermi un impietoso affondo. L’Agenzia Misna soffre finanziariamente da anni di carenza fondi. Possibile che le congregazioni missionarie non riescano a comprendere l’importanza di superare la moltitudine di costosissime riviste cartacee patinate a difesa di un novecento orami passato per investire qualche euro in più su una comunicazione che faccia sistema?

Spesso essi sono i primi attivisti per i diritti dei popoli, sono i primi a denunciare soprusi di regimi dittatoriali, sono i primi a subire conseguenze pesanti che vanno dall’espulsione, al carcere fino al rischio della vita.

Certo. Ed è talvolta assordante il silenzio della Chiesa ufficiale.

Tuttavia è sicuramente lecita questa domanda: ma i missionari (la maggior parte dei quali sono preti o suore) non devono necessariamente portare il Vangelo, cioè invitare le persone ad abbracciare la fede cristiana? Possono essi limitarsi ad essere operatori di bene? In questo senso non si distinguerebbero dai meritevolissimi non credenti che si comportano in maniera analoga. E si potrebbe obiettare ulteriormente che questo approccio non estingue ma fomenta le guerre di religione e crea conflitto. Quando poi sentiamo teologi e uomini di Chiesa, e lo stesso Papa, affermare che le religioni non hanno tutte la medesima dignità perché non sono simili vie di salvezza, che non bisogna cadere nel relativismo considerando moralmente lecite tutte le tradizioni locali sedimentate nei secoli, che bisogna portare la “verità” a chi è nell’ “errore” (non si utilizza questo linguaggio ma la sostanza è quella), allora qualcosa può non quadrare. Nel mondo cattolico il dibattito è aperto. Credo però che proprio i missionari siano più avanti di molti teologi perché essi vivono nella carne e non sulla carta questi problemi. Sicuramente essi, se sono uomini di fede, non possono rinunciare a proclamare il Vangelo ma allo stesso tempo rispetteranno in maniera assoluta le credenze altrui.

“assoluta”?

Bisogna riuscire a distinguere tra relativismo e tutela dei diritti umani, di cui uno dei più importanti è la libertà di religione. Impegnarsi per un’effettiva libertà di culto è un compito che unisce tutti a prescindere dalle credenze individuali. Permettere che ciascuno nella sua coscienza scelga a quale religione aderire oppure di adottare un'altra prospettiva di vita è il punto fondamentale su cui non si può transigere. In molti paesi del mondo, soprattutto islamici, non è così e la libertà di religione non è garantita.

Finalmente qualcuno - non di destra - riesce a fotografare la realtà. Le persecuzioni contro i cristiani sono, ancora e purtroppo, diffuse. Ed è scandaloso che del problema se ne occupi solo una parte dell’emiciclo: la maggioranza.

In essi i missionari non operano per convertire ma per sancire questo diritto umano universale. Un impegno per cui dobbiamo essere loro grati.

Piergiorgio Cattani e Fabio Pipinato

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