Internet: nuova rete militare e vecchia censura

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Da circa sei anni il Pentagono sta mettendo a punto il Global Information Grid (GIG), una rete parallela e fisicamente separata da Internet per permettere ad ufficiali e truppe di avere un quadro completo sui conflitti mondiali e le possibili minacce in tempo reale. I primi lavori sono cominciati da sei settimane e per essere completato servono vent'anni e centinaia di miliardi di dollari - riportava nei giorni scorsi il New York Times. Si tratterebbe, infatti, di un complicatissimo sistema che, ha confermato il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, sarebbe capace di modificare le strategie militari dell'esercito Usa, sveltendone le decisioni, il passaggio di informazioni, la comunicazione su presenza numerica e posizione del nemico. Ogni militare - ha aggiunto Robert Stevens, direttore del principale contractor militare Usa, avrebbe "un quadro completo e in tempo reale del conflitto in corso". Il sistema di interconnessione potrebbe necessitare di una spesa di circa 24 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni. Ad essi si aggiungono i 25 miliardi previsti per la costruzione di centinaia di migliaia di nuove radio. I sistemi satellitari di intelligence, spionaggio e comunicazione richiederanno altrettanti fondi. L'intero programma, secondo una stima del Pentagono, non costerebbe meno di 120 miliardi, a cui si aggiungono i circa 200 necessari per l'hardware e il software.

Va ricordato che, sebbene Internet sia stata costruita anche con i fondi dell'agenzia Arpa-Darpa (militare), il suo obiettivo primario non era quello di essere usata come strumento bellico. La nuova rete militare sta intanto sollevando critiche poco benevoli. Secondo Vinton Cerf, padre del TCP/IP, "non c'è nulla di male ad avere obiettivi ambiziosi. Ma vanno temperati dalla conoscenza della fisica e dalla realtà delle cose". E per Robert Stevens - il boss della Lockheed Martin Corporation, probabilmente il più importante fornitore della Difesa americana - "il futuro è una rete altamente protetta nella quale siano fuse le attività militari e quelle di intelligence". Mentre John Hamre, ex viceministro della Difesa e ora alla guida del Centro per gli studi strategici di Washington nota polemico: "Vogliamo sapere tutto in qualsiasi momento ovunque nel mondo? Bene. Sappiamo cosa sarà questo occhio onnivedente che metteremo nello spazio? Col cavolo!".

Nel frattempo FBI e istituzioni continuano in una pratica che ben conoscono: la censura. Dopo i siti del network Indymedia, che ha portato all'oscuramento dell'edizione italiana italy.indymedia.org e di molti altri siti del network Indymedia, tra cui quello Palestinese, Belga, Africano, Brasiliano e Tedesco, ai primi di ottobre è toccato a Rackspace - ricorda Carlo Gubitosa in un approfondimento per Reporter Associati. "Dopo un convulso e frenetico rincorrersi di voci, ipotesi, allarmi e interrogazioni parlamentari - scrive Gubitosa - finalmente arriva qualche certezza: il sequestro non è stato disposto su iniziativa delle autorità statunitensi o britanniche, ma dal pm di Bologna Morena Plazzi, che tuttavia non aveva disposto un oscuramento, ma una semplice "acquisizione" di informazioni nell'ambito dell'indagine sulla cosiddetta "Federazione Anarchica Informale", e sui pacchi bomba recapitati a Romano Prodi. Con un "eccesso di zelo" l'ordine è stato tradotto dall'FBI in un sequestro che non è stato convalidato proprio perchè ha oltrepassato le richieste della magistratura".

Ma a tutt'oggi i soggetti coinvolti non hanno potuto sapere quali sono le motivazioni ufficiali che hanno portato al sequestro degli hard disk con il conseguente oscuramento dei siti. E non si è ancora la vicenda di PeaceLink denunciata dal professor Daclon, già presidente di "Pro Natura" e consulente Nato, per aver riportato sul proprio sito il 'Manifesto per un forum ambientalista' nel quale compariva tra i firmatari il Daclon. Il giovane professore, due anni e nove mesi dopo la pubblicazione di quell'appello, ha dichiarato di non averlo mai sottoscritto e, senza nemmeno chiedere una rettifica, ha fatto causa a Peacelink. Il processo sta continuando, con tutte le spese legali annesse, e Peacelink nei mesi scorsi ha rilanciato l'appello di una raccolta fondi per sostenere le spese. [GB]

Altre fonti: Punto informatico, Reporter associati.

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