Lav: stop allo sfruttamento del patrimonio ittico

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Ha aperto a Genova la manifestazione "Sapore di Mare", rassegna sulle tecnologie per la pesca professionale e per l'itticoltura, che ha tra i suoi obiettivi la valorizzazione del "prodotto" ittico nazionale e la conoscenza dei prodotti d'acquacoltura. Per invitare istituzioni e cittadini a considerare il pesce un patrimonio e non semplicemente un prodotto da usare e sfruttare, la LAV ha organizzato questa mattina a Genova una conferenza stampa per illustrare il grave pericolo del depauperamento dei mari, il conseguente sviluppo dell'itticoltura intensiva, altamente inquinante; i quotidiani e spesso ignorati maltrattamenti di cui sono vittime i pesci e l'urgenza di una legge a loro protezione, fino alla necessità di scongiurare la depenalizzazione dei reati legati alla pesca.

La LAV chiede al Parlamento italiano e alle istituzioni comunitarie, più attenzione per i problemi legati allo sfruttamento del patrimonio ittico: un regolamento chiaro sugli impianti di itticoltura partendo dal punto di vista dei pesci allevati; una legge che disciplini i metodi di uccisione di questi animali al fine di ridurne la sofferenza; una scelta decisa verso la protezione della fauna acquatica e l'impegno a bloccare lo sfruttamento dei mari, abbandonando i propositi "suicidi" contenuti nel decreto legislativo in materia di pesca marittima ("Attuazione della Legge 38 del 7/3/2003 in materia di pesca marittima"), predisposto dal Ministero delle Politiche Agricole che, se approvato, costituirà un vero e proprio "colpo di spugna" sui reati ittici. Gli articoli 6, 7 e 8, infatti, cancellano le sanzioni penali previste della legge n. 963 del 1965, depenalizzando chi distrugge gli ecosistemi marini e la fauna ittica al fine di trarne profitto.

"Parlare di "gestione responsabile e sostenibile delle risorse", come sostengono gli organizzatori della manifestazione "Sapore di Mare", in una situazione di allarme overfishing rilanciato ormai da anni sia dalle associazioni ambientaliste che dalle principali organizzazioni mondiali, che hanno posto la questione degli stock ittici da salvaguardare sui tavoli dell'Unione Europea e dell'ONU, è incomprensibile quando, per tentare di ricostituire le popolazioni di fauna marina, bisognerebbe azzerare le attività di sfruttamento degli animali e dell'ambiente - dichiara Maria Teresa D'Agostino, responsabile nazionale LAV settore Pesca e Itticoltura - Né l'itticoltura può rappresentare un'alternativa percorribile, dal momento che rappresenta una grave forma di maltrattamento oltre che un'accertata fonte d'inquinamento ambientale e una minaccia per la biodiversità. Non va trascurato, poi, il maltrattamento a cui questi animali vengono posti, per nulla tutelati dalla legislazione attuale".

Da una parte, infatti, la cattura del pesce libero (pesca "tradizionale") comporta una morte atroce, sebbene silente, dell'animale, per lo shock dovuto alla cattura, per i vani, violenti, tentativi di divincolarsi dagli ami o dalle reti che provocano avvelenamento da acido lattico e paralisi, lacerazioni delle branchie e delle pinne. Una morte estremamente dolorosa, come testimoniano recenti studi condotti dal Roslin Institute di Edimburgo, che hanno rilevato come il sistema nervoso dei pesci sia complesso e dotato di apparati sensori in grado di provare dolore e paura. Ma non migliore è la sorte dei pesci di allevamento.

Questi ultimi nascono, crescono e muoiono in spazi fortemente limitati, come nel caso degli impianti che utilizzano bacini naturali (lagune o stagni), quando non compressi in vasche di cemento o in gabbie o recinti posizionati in mare in numero tale da limitare drasticamente la possibilità di movimento. Vengono alimentati con mangimi ipercalorici e spesso imbottiti di farmaci che evitino, o contrastino, la diffusione di malattie che il sovraffollamento favorisce, provocando inoltre un forte inquinamento ambientale dato dalle deiezioni e dalla diffusione nell'ambiente dei residui dei mangimi e dei farmaci.

La loro fine poi, per nulla regolamentata, avviene con metodi che definire sadici è riduttivo: alle anguille viene reciso il collo quando sono ancora in vita, o vengono anestetizzate e lasciate dissanguare fino alla morte, oppure vengono uccise con il metodo dell'immersione nel sale asciutto che penetra nel loro corpo disseccandolo; infine, vengono eviscerate nonostante si stimi che, nell'80% dei casi, siano ancora in vita e che, una parte consistente, lo sia pure 30 minuti dopo lo squarcio. Non tocca sorte migliore alle trote che vengono private del cibo per circa sei giorni prima di essere congelate, subendo un'agonia di circa quindici minuti. Vi sono, inoltre, casi in cui i pesci vengono uccisi prosciugando l'acqua della vasca e portandoli a un lento soffocamento.

"La sofferenza inflitta ai pesci non è eticamente accettabile ma neppure giustificabile dal consumo alimentare - conclude Maria Teresa D'Agostino - lo stress e la sofferenza subiti dai pesci tolti dall'acqua innesca, infatti, un processo degenerativo. Si paralizzano le cellule che impediscono la diffusione dei germi e il "prodotto" risulta per forza di cose contaminato. Risulta evidente quindi la necessità di una regolamentazione specifica per un settore troppo spesso ignorato dalle normative".

Il consumo dei "prodotti" ittici in Italia è aumentato dell'1% nel 2003, ed una stima ha rilevato che il pesce d'allevamento incide per il 38% sulla produzione (dati ISMEA), con 250 milioni di euro di fatturato solo nel 2003, evidenziando quindi un rapido aumento degli impianti di itticoltura negli ultimi anni. Le catture invece hanno sviluppato un fatturato di 1.446 milioni di euro, con 308.920 tonnellate di pesce (dati IREPA).

Sezione Pesca e acquacoltura delle campagne della LAV

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