Europa: dichiari guerra alle armi

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Creare una rete europea contro i traffici di armamenti. E' a questo che puntano le organizzazioni italiane che si sono battute, nei mesi scorsi, per limitare i danni della riforma alla 185 trovatesi a Roma per un convegno internazionale.

"Il lavoro della Campagna italiana in difesa della 185 è stato seguito anche all'estero" ha commentato la portavoce Nicoletta Dentico nel suo intervento al convegno internazionale tenutosi lo scorso 19 e 20 giugno, "ma rischia di restare marginale rispetto alla posta in gioco a livello internazionale. D'altra parte, ogni campagna in Europa ha avuto le sue priorità: in Belgio si è seguito il tema della tracciabilità delle armi leggere, in Gran Bretagna il Codice di condotta europeo, e così in Italia le organizzazioni si sono impegnate a evitare il deterioramento di una legge molto avanzata rispetto agli standard comunitari".

Una delle principali preoccupazioni è causata dal fatto che un'Unione Europea, già più che mai proiettata verso il potenziamento dell'industria delle armi, vedrà nel 2004 l'ingresso di dieci nuovi Paesi dell'Est che hanno una legislazione di settore piuttosto fragile. Tra le priorità individuate la creazione di leggi sui mediatori nella compravendita di armi arrivando a stabilire, sempre secondo la Dentico, "l'extraterritorialità nei controlli delle autorità, un registro professionale e un preciso tariffario".

Intanto vi è chi già si occupa di monitorare il settore del tutto particolare della produzione e compravendita di armamenti nei Paesi di prossima entrata nell'UE. Si tratta di Saferworld, un think tank indipendente che si occupa di identificare, sviluppare e pubblicizzare approcci più efficaci alla prevenzione di conflitti armati. In questo campo è attiva anche Human Rights Watch che da tempo ha invitato l'Unione Europea a continuare nell'esercitare pressioni sui paesi candidati all'allargamento per migliorare e rendere più efficaci i controlli sul commercio di armamenti.

Un rapporto di Human Right Watch, ampiamente documentato con fonti ufficiali, dimostra come molti Paesi dell'Europa centrale ed orientale, tra i quali alcuni candidati ad un prossimo ingresso nell'UE, avrebbero per lungo tempo fornito armi a regimi resisi colpevoli di grosse violazioni di diritti umani. Tra questi ultimi figurano tra gli altri l'Angola, l'Uganda, il Burundi, la Birmania, ed in passato, l'Afghanistan e l'Iraq.

Fonti: Vita, Saferworld, Human Rights Watch

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