Italia: il nuovo volto della cooperazione

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Il disegno di legge delega sulla cooperazione allo sviluppo approvata il 5 aprile in occasione del Consiglio dei ministri è sicuramente un fatto positivo. E' la testimonianza della volontà politica (del governo) a procedere finalmente ad una cambiamento della vecchia legge 49 risalente al 1987. Una legge, quest'ultima, che ormai non funziona più e che da oltre 15 anni è oggetto di critiche e di tentativi, finora falliti, di superamento.

Adesso la parola spetta al Parlamento che ha 24 mesi di tempo per varare la delega e poi spetterà al Governo emanare i decreti delegati. Se tutto va bene, ci vorranno tre anni prima che la nuova norma entri in vigore. Sempre che si riesca ad approvarla. Le resistenze del corpo diplomatico infatti sono fortissime ed è ipotizzabile che diversi senatori ad esso vicini (come l'attuale presidente della Commissione Esteri, Lamberto Dini, e Giulio Andreotti) facciano il possibile o per rallentare l'iter della legge o per farla decadere. E' un sospetto che speriamo venga smentito. Ecco perché l'Unione deve cercare di evitare lo scontro interno e trovare -rapidamente- su questa legge (attesa ormai da più di vent'anni), il massimo di mediazione e unità possibili. Non servono altre indagini parlamentari sullo stato della cooperazione (come qualcuno ha proposto): serve fare presto una nuova norma, senza perdere altro tempo.

Gli elementi positivi della legge delega sono diversi: la creazione di un'Agenzia ad hoc che dovrebbe finalmente far funzionare la cooperazione, il riconoscimento della cooperazione decentrata e di tutte le altre nuove forme di solidarietà internazionale nate in questi anni, l'unitarietà della gestione e dell'indirizzo di tutti i fondi della cooperazione (compresi quelli gestiti dal ministero dell' Economia che poi li storna alla Banca Mondiale e ad altri organismi internazionali), l'esclusione di ogni commistione della cooperazione con gli interventi militari, la fine - di fatto- della pratica dell'aiuto "legato": cioè l'obbligo imposto ai paesi beneficiari degli aiuti di comprare beni e servizi dalle imprese degli stati donatori.

Certo, permangono ancora alcune incognite che riguardano il ruolo delle imprese, il riconoscimento dei nuovi soggetti e pratiche della cooperazione (come la finanza etica, il commercio equo e solidale, le comunità degli immigrati, le ong del sud del mondo, ecc.), le modalità di realizzazione e gestione del fondo unico.

E poi, soprattutto, la questione delle risorse, la quale non attiene alla legge delega ma ad altre leggi, come quella di bilancio e come la finanziaria. E' notizia di questi giorni la pubblicazione dei dati OCSE che evidenziano come dal 2005 al 2006 i fondi destinati all'Aiuto Pubblico allo Sviluppo in Italia siano calati dallo 0,29% allo 0,20% del PIL. Non è un segnale incoraggiante, perchè anche una legge saggia e intelligente, senza soldi non ha un gran valore, e finisce per rimane solo una carta delle buone intenzione. E' bene che l'Unione se ne ricordi, soprattutto alla prossima finanziaria.

Giulio Marcon (di Sbilanciamoci)
Fonte: Aprile online

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