Iraq: i crimini di Saddam e le armi dell'Occidente e italiane

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La condanna a morte di Saddam Hussein ha provocato molti commenti e reazioni. Amnesty International e numerose associazioni per la tutela dei diritti umani hanno deplorato la decisione dell'Alta Corte Penale irachena di infliggere al dittatore la pena attraverso un "un processo che è stato profondamente difettoso e ingiusto".

L'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) nel chiedere la continuazione del processo contro Saddam Hussein in quanto responsabile di crimini di genocidio contro la popolazione kurda, sottolinea come "particolarmente grave" il fatto che "diverse imprese tedesche abbiano contribuito in modo determinante all'installazione e allo sviluppo di un'industria di gas nervini in Iraq". "I gas nervini prodotti in Iraq grazie alla collaborazione tedesca sono stati tra l'altro impiegati nel massacro di 5000 Kurdi a Halabja e all'inizio dell'offensiva Anfal che a sua volta ha causato complessivamente 182mila morti in prevalenza Kurdi, ma anche Yezidi, Assiro-Caldei e Turkmeni. Il numero complessivo dei morti kurdi ed appartenenti ad altre minoranze nel Kurdistan iracheno a partire dal 1968 è stimato in circa 1 milione di donne, uomini e bambini" - riporta il comunicato dell'APM.

Anche don Fabio Corazzina e don Renato Sacco di Pax Christi, in un articolato commento su Mosaico di Pace, sottolineano le responsabilità dell'Occidente. "Quando Saddam Hussein ordinava crimini efferati era alleato dei paesi occidentali, Russia, Stati Uniti e anche Italia" - notano i due sacerdoti. E ricordano che "l'Italia ha venduto 9 milioni di mine antipersona a Saddam", il giro d'affari dello scandalo della BNL di Atlanta messo frettolosamente a tacere e il famoso supercannone che era pronto per essere consegnato a Saddam. "Allora non era ancora quel 'mostro, pazzo, sanguinario, pericoloso, il nuovo Hilter'?" - domandano i due sacerdoti. "Ci sembra che gli interessi, il calcolo abbiano ancora una volta il sopravvento sulla giustizia, sulla verità, sulla vita, sulla pace". "In un mare di sangue quale è l'Iraq di oggi, l'unica cosa che non serve è versare altro sangue e scatenare altro odio o sete di vendetta. Ogni giorno in Iraq ci sono decine di condanne a morte (di civili e innocenti) un'altra condanna a morte non è certo un significativo segno di novità e discontinuità rispetto al passato e al presente".

"È necessario allora che tutti, anche quanti giustamente condannano la pena capitale, si impegnino a non vendere armi a chi viola i diritti umani o a Paesi in guerra. Per evitare di arrivare un giorno - quando gli interessi economici, politici e militari cambiano - a riconoscere come pericoloso dittatore chi è stato un alleato e amico. Come non ricordare ad esempio, gli accordi militari con Israele o la tragedia della Cecenia, con crimini efferati anche da parte del governo di Mosca, a cui anche l'Italia ha venduto armi? O la luminosa idea di togliere l'embargo delle armi alla Cina, in nome degli affari e non certo dei diritti umani e della pace" - concludono i due sacerdoti notando che "il legame e l'affetto che ci unisce a tante persone che vivono in paesi segnati da guerre e dittature, in particolare in Iraq, ci obbliga a non essere ipocriti". [GB]

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