Greenpeace: rapporto a 20 anni da Cernobyl

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In occasione del ventesimo anniversario del disastro di Cernobyl, Greenpeace ha presentato un rapporto redatto con la collaborazione di 52 scienziati e dell'Accademia delle Scienze russa per fare il punto della situazione odierna sugli impatti sanitari di quello che è il più grave incidente nucleare della storia. Questo rapporto rivela come l'impatto sulla salute della catastrofe di Cernobyl sia stato largamente sottostimato dalle valutazioni ufficiali dall'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica.

Una valutazione complessiva delle conseguenze sulla salute umana del disastro di Cernobyl è estremamente difficile, ma il rapporto indica che i tumori attribuibili a Cernobyl in Bielorussia sono almeno 270 mila, 93 mila dei quali fatali. Questi dati sconfessano le stime del Forum Cernobyl dell'AIEA, secondo le quali sarebbero appena quattromila i decessi legati all'incidente. Il rapporto di Greenpeace ricorda inoltre che lo scenario sanitario del dopo Cernobyl non è purtroppo fatto soltanto di tumori: nell'area contaminata è difatti aumentata l'incidenza di moltissime malattie non tumorali che vanno dai problemi all'apparato respiratorio alle alterazioni del sistema immunitario e che di solito non vengono contabilizzate nelle statistiche ufficiali dell'AIEA.

Non si possono, in ogni caso, ridurre le tragedie umane a semplici fatti statistici. Dietro le cifre asettiche delle stime ufficiali e non ufficiali si nascondono le storie personali, le tragedie familiari, la povertà e l'emarginazione sociale di chi non ha potuto abbandonare le zone contaminate e insalubri per mancanza di alternative.

Ed è proprio per ricordare il lato umano della tragedia di Cernobyl che Greenpeace ha organizzato la mostra fotografica online "Certificate No. 000358/ Il costo umano di una catasrofe nucleare". In Italia la mostra è stata inserita all'interno del Festival Internazionale della Fotografia di Roma e rimarrà aperta fino al 14 maggio. Le immagini servono a ricordarci che le vite umane sono più di un numero. Per ogni dato statistico c'è una persona che sta pagando un prezzo. Ed è un prezzo che nessun altro dovrà pagare in futuro.

E in risposta ad un'intervista apparsa alcuni giorni fa sulle pagine del "Washington Post" - riprese anche dal Corriere della Sera- in cui Patrick Moore, uno dei fondatori di Greenpeace, si pronunciava a favore dell'energia nucleare, indicandola come l'unica fonte di energia in grado di salvare il nostro pianeta dalla catastrofe del cambiamento climatico, Greenpeace risponde sul Corriere della Sera ricordando che da quando Moore ha lasciato Greenpeace nel 1985 viene finanziato dalle industrie del legname e del nucleare.

"Ci si chiede dov'è la notizia se finisce poi per affermare che le foreste vanno tagliate a raso o che solo l'energia nucleare può salvare il pianeta" - nota Donatella Massai, Direttore generale di Greenpeace Italia. "Nella sua attività, connotata dall'ossessione per Greenpeace - questa sì, materia d'interesse per psicanalisti - Moore semina informazioni false, alcune delle quali già corrette nell'articolo. Non è vero, quindi, che il nucleare sia conveniente. Al contrario, come dimostrano persino le stime del Dipartimento dell'energia Usa, costa almeno il 25 per cento in più del carbone e del metano. Ed è più costoso anche dell'eolico, la fonte energetica in maggior crescita. Non a caso, d'altra parte, l'amministrazione americana prova a rilanciare il nucleare con i sussidi governativi, un vero paradosso per l'economia formalmente più liberista del pianeta. A più di sessant'anni dall'inizio dell'era atomica, inoltre, nessun paese al mondo ha trovato una soluzione definitiva per smaltire le scorie nucleari. Quanto all'idea di recuperare energia dalle stesse scorie - plutonio o uranio "non bruciato" - dopo il costosissimo fallimento del Superphénix francese [ma italiano al 33%] nessuna persona assennata la propone più" - conclude il Direttore generale di Greenpeace Italia.

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