Il commercio delle armi: l'Italia nel contesto internazionale

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A cura di C. Bonaiuti e A. Lodovisi
In collaborazione con la Regione Toscana e IRES Toscana
Jaca Book 2004, pp. 390 -   20,00

Ce n'era bisogno. Era dagli inizi degli anni novanta che mancavano in Italia pubblicazioni organiche e aggiornate sulla produzione ed il commercio di armi del nostro paese. A sopperire alla carenza è arrivato l'Annuario dell'Osservatorio sul Commercio delle Armi (Os.C.Ar.) che non può mancare nella biblioteca non solo degli "addetti ai lavori", ma di chiunque intenda documentarsi in materia.

Il corposo volume di 390 pagine, curato da Chiara Bonaiuti e Achille Lodovisi, due ricercatori dell'Osservatorio sul Commercio delle Armi (Os.C.Ar.) dell'Istitituto di Ricerche Economiche e Sociali (IRES) Toscana edito da Jaca Book nel 2004, sebbene sia presentato nella forma di un semplice "Annuario" non solo fa il punto della situazione attuale su produzione ed esportazioni di armi italiane, ma fa risalire l'analisi fin al primo dopoguerra e, soprattutto agli anni anni Settanta e Ottanta (cap. 2).

E' in quel periodo, infatti, che l'Italia assurge al ruolo di uno dei maggiori esportatori mondiali di armi: "nel 1978 l'export raddoppia passando dai 380 milioni di dollari del 1977 a 775 milioni di dollari e nel 1981 si produce un nuovo raddoppio a quota 1 miliardo e 400 milioni di dollari, pari al 3,2% del mercato mondiale che colloca l'Italia al sesto posto nella graduatoria mondiale degli esportatori" - scrivono Terreri e Bonaiuti (p. 25). Un vero boom di esportazioni - notano i ricercatori - che si fonda su alcuni condizioni favorevoli: una normativa permissiva senza vincoli e controlli, l'intervento pubblico nell'industria militare e il nuovo grande mercato dei Paesi in via di sviluppo tra cui alcune "aree calde" del pianeta come Iraq, Iran, Libia, Egitto e Nigeria che, oltre ad essere i principali acquirenti di armi "made in Italy", sono anche i principali fornitori di greggio del nostro paese. Sono gli anni in cui "oltre un terzo delle esportazioni italiane di armi arriva a paesi in guerra" (p. 34), ma anche degli scandali delle esportazioni militari a svariate nazioni, tra cui l'Iran, per mezzo di triangolazioni che vengono denunciate da numerose associazioni pacifiste tra cui quelle che presidiavano il porto di Talamone dal quale le armi salpavano.

Lo scenario cambia a partire dal 1990 con l'approvazione della legge 185 che, da allora, regolamenta l'esportazione di armi italiane: una legge che per diversi aspetti anticipa il dibattito a livello europeo che culminerà a fine anni Novanta con l'adozione di un Codice di Condotta dell'Ue (alla cui disamina è dedicato l'intero capitolo 6 del volume). Ma al cambiamento contribuisce anche, sul piano nazionale, la crisi delle partecipazioni statali, principale propulsore dell'industria militare italiana, e sul piano internazionale il crollo dei paesi del Patto di Varsavia e la crisi economico-finanziaria internazionale con l'acuirsi del debito estero dei Paesi del Sud del mondo.

Il volume ripercorre quegli anni fino al 2003, comparando anche le numerosi fonti (cap. 1), analizzando il commercio internazionale di armi (documentatissimo al riguardo il saggio di Lodovisi al cap. 3 che supera le 180 pagine), la spesa militare italiana (cap. 4 di M. C. Zadra) a partire dalla riforma delle Forze armate nella seconda metà degli anni Novanta - che passa dai 9,5 miliardi di euro del 1995 agli oltre 14 miliardi del 2004 - fino all'analisi della spesa militare internazionale (cap. 5 di Lodovisi) con sintetiche finestre sulle diverse aree geo-politiche, e all'attualissima questione delle "armi di distruzione di massa" presenti nel Vicino Oriente (cap. 7 di Lodovisi). A buona ragione si può affermare che l'Annuario colma, con la sua base statistica e documentale, una lacuna esistente a livello italiano, allineando finalmente il nostro paese agli altri paesi europei in cui vengono pubblicati rapporti scientifici annuali sui temi delle armi e del disarmo.

Se una critica si può muovere al volume è quella di considerare le questioni nazionali e internazionali lasciando quasi in secondo piano il ruolo, talvolta anche decisivo, svolto dalla società civile e dalle associazioni: una carenza inevitabile per un annuario che, dopo un decennio, cerca di offrire al lettore un quadro sintetico, ed alla quale ci auguriamo sopperiranno le prossime edizioni.

Giorgio Beretta

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