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Sahara Occidentale come la Palestina? L’ONU rinnova il mandato della MINURSO, ma la pace resta lontana
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Immagine: Facebook.com
Il 31 ottobre al Palazzo di Vetro di New York, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 2795 (2025), prolungando fino al 31 ottobre 2026 il mandato della missione MINURSO, la missione delle Nazioni Unite incaricata di vigilare sul rispetto del cessate-il-fuoco e, fin dalla sua formulazione originaria, di predisporre un referendum di autodeterminazione per il popolo del Sahara Occidentale. Eppure, dietro le formule diplomatiche e i rivoli semantici, si nasconde un dato che chiunque voglia leggere la questione in chiave di giustizia internazionale non può ignorare: la pace non è a portata di mano, e la risoluzione sposta pericolosamente l’asse della legittimità verso la proposta di autonomia marocchina, già avanzata nel 2007 e oggi rilanciata con il sostegno degli Stati Uniti di Trump.
Nel corso dell'ultima settimana di ottobre, abbiamo partecipato ad una missione di cooperazione internazionale coordinata dalla Rete Italiana di solidarietà col popolo saharawi ed abbiamo avuto l'opportunità di vivere, di persona, nei campi profughi di Tindouf, l’angoscia, le speranze, la voglia di redenzione ed il desiderio di riscatto di un popolo. Abbiamo preso parte alle manifestazioni organizzate dal basso, nelle Wilaya - le province - dei campi profughi, parlando con i giovani, con le ragazze. Abbiamo intercettato tutta la voglia di rivoluzione e di cambiamento che animano le nuove generazioni saharawi, nate e cresciute dentro una prigione di sabbia, i cui unici confini sono muri di silenzio e di indifferenza.
Che cosa ha deciso l’ONU e che cosa non ha deciso
La risoluzione 2795 (2025) ribadisce «l’impegno a assistere le parti a realizzare una soluzione politica giusta, duratura e reciprocamente accettabile... sulla base dei principi e degli scopi della Carta delle Nazioni Unite, incluso il principio di autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale». In apparente continuità con i testi precedenti, il testo prosegue invitando le parti a negoziare «senza precondizioni, prendendo come base la Proposta di Autonomia del Marocco». Da un lato, dunque, l’affermazione del diritto all’autodeterminazione; dall’altro, la legittimazione implicita – o almeno la piena apertura – al piano di «autonomia sotto sovranità marocchina». Vale la pena notare ciò che il testo non dice: non viene cancellato né sostituito il termine “referendum” che accompagna da decenni il mandato della MINURSO; non viene formalmente riconosciuta la sovranità del Marocco sul territorio né viene dichiarata conclusa la fase di decolonizzazione. Tuttavia, la spinta concettuale verso l’autonomia appare, purtroppo, più marcata che in passato. Si tratta quindi di una tappa tecnica – l’estensione del mandato – che tuttavia assume significati politici concreti: la missione resta in piedi, ma il terreno negoziale su cui si muove viene ridefinito. Con questa risoluzione, pertanto, la causa del Sahara Occidentale diventa una questione prettamente politica abbandonando il terreno del diritto internazionale
Le radici della proposta marocchina e il perché della resistenza saharawi
Il Marocco ha presentato già nel 2007 la sua proposta per un’autonomia del Sahara Occidentale «sotto sovranità marocchina». Tale piano è stato registrato da tutte le risoluzioni successive come punto di riferimento potenziale: in particolare la risoluzione 1754 (2007) «prende atto della proposta marocchina, considerata seria e credibile». Ma prendere atto non significa approvarla. Il diritto internazionale — come chiarito, tra gli altri, dalla Corte Internazionale di giustizia nel 1975 — riconosce al popolo saharawi un diritto di autodeterminazione che non è assorbibile in una mera autonomia “gestita” da una potenza occupante. L’opposizione del Fronte POLISARIO è ferma: l’autodeterminazione non è un’opzione tra le altre, bensì l’asse centrale della legalità internazionale nel caso saharawi. La risoluzione votata introduce elementi pericolosi e senza precedenti che minano la natura di processo di decolonizzazione del Sahara Occidentale. In altre parole: per il popolo saharawi l’unica soluzione legittima è un referendum libero e trasparente con il quale scegliere il proprio futuro; non una formula che legittima, in maniera fattuale, l’occupazione marocchina in nome della “realistica autonomia”. È qui che si gioca la divergenza centrale: non è soltanto una questione tecnica di negoziato, ma di chi detiene la soglia della legittimità politica e giuridica.
Geopolitica, interessi e l’ombra degli Stati Uniti
Dietro il linguaggio diplomatico della risoluzione c’è una realtà geopolitica nella quale il Marocco ha tessuto accordi strategici con Washington e Parigi, ha normalizzato le relazioni con alcuni alleati regionali e punta a consolidare il suo controllo sul Sahara Occidentale come parte di una strategia di potere in Nord Africa. Gli Stati Uniti, in particolare, sono indicati nella risoluzione come “pronti a ospitare negoziati” in favore della proposta di autonomia marocchina — un riconoscimento che, agli occhi saharawi e ai sostenitori della decolonizzazione, appare come un cedimento al realismo geopolitico. Ma il realismo non può diventare pretesto per ignorare i diritti. Quando il diritto internazionale viene piegato agli interessi delle potenze, il risultato è una «normalizzazione dell’occupazione» sotto la patina diplomatica. La comunità internazionale corre così il rischio di trasformarsi in complice passiva di un ordine ingiusto, che considera “soluzione accettabile” ciò che per decenni è stato indicato come processo di decolonizzazione. La pace che viene proposta non è uguale per tutti: è subordinata a condizioni, tempistiche e negoziati in cui la parte occupante detta la base.
Autonomia vs autodeterminazione: il baricentro del dibattito
La risoluzione afferma che “una genuina autonomia sotto sovranità marocchina può costituire la soluzione più fattibile”. Quella frase, apparentemente tecnica, porta con sé un peso enorme. Se l’autodeterminazione è il diritto riconosciuto ai popoli colonizzati di decidere liberamente il proprio destino, l’autonomia rimane una concessione del potere dominante: non una scelta dal basso, ma un ridefinire i margini della subordinazione. Il Fronte POLISARIO ha ragione a sostenere che mettere sullo stesso piano “autodeterminazione” e “autonomia” modifica il baricentro giuridico e politico del conflitto. In altri termini: trasforma un’identità di popolo soggetto di diritto in un gruppo oggetto di amministrazione. È una scelta coloniale: riconosce la sovranità del dominatore e propone la delega del potere all’interno del suo perimetro. È per questo che la questione non è meramente semantica ma profondamente politica. La risoluzione non rappresenta, pertanto, nessun “piccolo passo avanti”, ma un punto di biforcazione: o si resta fedeli al principio dell’autodeterminazione, o si accetta di fatto la sovranità marocchina con concessioni simboliche. Il popolo saharawi non può essere costretto ad accettare la seconda opzione sotto la maschera di un compromesso diplomatico.
Verso il 2026 e oltre: scenari e rischi
Con il rinnovo del mandato della MINURSO fino al 2026, si apre una finestra – l’ennesima – ma anche un pericoloso spazio di procrastinazione. Il Marocco guadagna tempo: ogni anno di procrastinazione equivale a consolidamento dell'occupazione, delle infrastrutture e della presenza militare e amministrativa.Il popolo saharawi costretto ancora nella sua frustrazione: il referendum resta in sospeso, la mobilitazione internazionale diminuisce, la sofferenza nei campi profughi e nei territori occupati continua. La comunità internazionale si ritrova con la coscienza a posto (rinnovando il mandato ONU), ma senza una vera strategia: non è sufficiente “rinviare” la decisione, serve esigere e preparare il referendum, monitorare i diritti umani, garantire che il popolo saharawi sia rappresentato e partecipe. Se il negoziato resta in stallo fino al 2026, il rischio è che la “via dell’autonomia” diventi, di fatto, la sola opzione percorribile, con il beneplacito internazionale. In questo scenario, il diritto internazionale subirebbe un duro colpo: quello di essere subordinato alla realpolitik, non alla giustizia. Al contrario, se si vuole dare reale concretezza alla risoluzione come strumento di pace, allora occorre che il referendum si avvicini, che la MINURSO venga rafforzata nella sorveglianza dei diritti umani e che il Marocco accetti — davvero — la supervisione internazionale della consultazione.
Perché questa vicenda richiama la Palestina – ma anche perché è unica
È inevitabile trarre analogie con il caso della Palestina: occupazione militare, diritto internazionale calpestato, rifugiati, promessa di autodeterminazione rimandata da decenni. Ma è importante sottolineare che il caso saharawi ha sue specificità: territorio dichiarato «non autonomo» fin dal 1963 da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come soggetto alla decolonizzazione, presenza della MINURSO dal 1991. Tuttavia, l’analogia serve a rafforzare l’idea che la “normalizzazione dell’occupazione” non avviene soltanto in Medio Oriente: quando una potenza occupante diventa interlocutore legittimo nei negoziati, il messaggio per tutti i popoli che aspirano all’autodeterminazione è pericoloso. È dunque urgente che la sinistra internazionale riconosca il popolo saharawi non solamente come “caso periferico”, ma come battaglia centrale di giustizia internazionale, coerenza politica e decolonizzazione attiva.
Conclusione: dalla parola all’azione
La risoluzione del Consiglio di Sicurezza segna una tappa, non una conclusione. Il popolo saharawi non chiede un “piano B” diluito, ma l’attuazione del diritto all’autodeterminazione. La posizione che privilegia la dialettica dell’autonomia sotto sovranità marocchina non può essere l’unico esito accettabile: sarebbe una capitolazione del diritto internazionale a favore dell’interesse geopolitico. Serve mobilitazione: nelle scuole, nelle università, nei circuiti della sinistra europea e mediterranea; serve che la comunità internazionale — movimenti, sindacati, partiti, ONG — eserciti pressione affinché il referendum non sia rinviato all’infinito, affinché la MINURSO sia dotata dei mezzi necessari, affinché la voce del popolo saharawi sia ascoltata e rispettata. La pace non è neutra: o è giusta, oppure non è pace. Nel Sahara Occidentale, come altrove, la vera pace sarà quella che poggia sulla libertà, sulla legalità internazionale e sulla sovranità dei popoli — non su compromessi che sanciscono l’occupazione sotto un altro nome.






