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Libertà di stampa: morte in Iraq, male in Francia e Italia
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In occasione della "XV Giornata mondiale per la libertà di stampa", che si è celebrata ieri, Reporters sans Frontieres (Rsf) ha diffuso il suo rapporto annuale che segnala l'Iraq come scenario di guerra dove sono morti più giornalisti dall'epoca della guerra del Vietnam: dall'inizio del conflitto a oggi sono stati 53 gli operatori dell'informazione e i loro assistenti morti in Iraq nello svolgimento della professione, di cui 19 nell'ultimo anno mentre complessivamente sono stati rapiti 29 tra giornalisti e loro collaboratori.
Per quanto riguarda gli altri paesi, il rapporto dell'associazione indipendente segnala come luoghi pericolosi per l'esercizio della professione giornalistica le Filippine dove sono stati assassinati 18 giornalisti dal 2000 (e ben 47 da quando il Paese è diventato una democrazia nel 1986); quindi la Colombia con 11 vittime, a causa di gruppi armati e paramilitari; le regioni meridionali del Bangladesh, dove bande criminali che controllano i traffici locali sono coinvolte nella morte di 8 giornalisti e nell'intimidazione di decine di altri ed infine la Russia, con 7 giornalisti uccisi dal 2000. Tra i capi di stato e di governo che Reporters sans Frontieres annovera tra i "predatori della libertà di stampa", vi sono il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, il Presidente cinese Hu Jintao, il Capo del governo di Myanmar Than Shwe e il Presidente cubano Fidel Castro.
Secondo il Rapporto, i paesi europei generalmente rispettano la libertà di informazione, ma Reporters Sans Frontiers punta il dito in particolare contro Francia e Italia. Per quanto riguarda l'Italia, l'associazione evidenzia il conflitto di interessi politici e finanziari del primo ministro Silvio Berlusconi, definendolo un "caso unico" nel continente, ma dure critiche vengono rivolte anche alla magistratura. Anche la Francia "ha fatto un pericoloso passo indietro" con la cosidetta legge Perben, che secondo l'associazione rappresenta ''una grave minaccia per la privacy delle fonti e per i giornalisti che fanno inchieste, in quanto non rende più necessaria l'autorizzazione del giudice per la perquisizione delle abitazioni dei giornalisti". Secondo RSF, i reporter francesi e italiani sarebbero spesso costretti all'autocensura. Un capitolo del rapporto è dedicato alla Turchia: nonostante il governo di Ankara abbia fatto passi avanti nelle leggi sulla libertà di stampa, in linea con quanto richiesto dalla Ue, "permangono arresti arbitrari che costringono i giornalisti ad autocensurarsi". "Arretrati" in materia di libertà di informazione vengono definiti anche i 10 paesi che sono entrati nell'Unione europea un anno fa, con violazioni gravi avvenute in particolare in Polonia e Ungheria.
In occasione della giornata, Amnesty International ha segnalato Bielorussia, Federazione Russa, Turchia e Turkmenistan tra i paesi dell'area euro-asiatica che presentano il più alto livello di repressione nei confronti di chi esercita legittimamente il diritto alla libertà di espressione, associazione e riunione. "Il lavoro dei movimenti indipendenti per i diritti umani è determinante in ogni società, per salvaguardare i diritti umani di tutti e costruire una società basata sulla giustizia" - ha dichiarato Paolo Pobbiati, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International. "I governi devono garantire che le uccisioni, le 'sparizioni', le torture, i maltrattamenti e le minacce nei confronti degli attivisti per i diritti umani siano oggetto di inchieste indipendenti e imparziali che consentano di assicurare i responsabili alla giustizia".
Reporter Associati dedica due interessanti articoli al Rapporto diramato da "Freedom House", associazione statunitense che Stefano Marcelli (Segretario generale di "Informazione Senza Frontiere")definisce "una delle più autorevoli al mondo nella difesa dei diritti umani". Nel Rapporto della Freedom House l'Italia è collocata al 77mo posto fra i Paesi "parzialmente liberi" per quanto riguarda la libertà di stampa, dopo Bolivia e Bulgaria seguito dalla Mongolia. "Dopo aver appena ascoltato il presidente del Consiglio che alla Camera e al Senato ha appena spiegato di aver eletto il presidente della Commissione Europea, aver dispensato consigli ai grandi della terra, indirizzato la politica economica comunitaria e aver portato il benessere al nostro grande paese, come dimostrano le vendite di telefonini, automobili e l'aumento delle rendite immobiliari oltre allo strapotere delle opposizioni nel controllo dei media, questo stato di classifica in compagnia dei derelitti della terra e dei principi liberali, ci arriva come uno schiaffo" - commenta Marcelli.
Ma un'ampio e dettagliato articolo di Fabrizio Casari (membro del Board di direzione di Reporter Associati) mette in dubbio l'attendibilità dei Report pubblicati annualmente dall'associazione statunitense "Freedom House". "La potente organizzazione è deputata da un ordine di servizio impartitole direttamente dalla Casa Bianca" - afferma Casari che, ripercorrendo le tappe principali del sessantaquattro anni di attività di Freedom House, segnala come tra gli esponenti più importanti dell'associazione statunitense vi sia un "vero e proprio mix di intelligence e diplomazia, spesso parallela". "Presidente di Freedom House è attualmente James Woolsey, ex capo della Cia. Il Consiglio d'amministrazione vede tra gli altri la presenza dell'ex ambasciatore Thomas Foley, (presidente della Commissione Trilateral, ex presidente del Consiglio d'intelligence) Malcom Forbes (Forbes magazine) Samuel Huntington (teorico dello scontro di civiltà), Jeane Kilkpatrick (ex ambasciatrice di Reagan all'Onu) e, ciliegina sulla torta, Diana Villiers (moglie di John Negroponte, attuale coordinatore di tutta l'intelligence Usa)". [GB]