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Blair s'è mosso, utile approfittarne
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"Deve trasformarsi non in una montagna di carta, ma in un serio e deciso programma di azione". Così il presidente sudafricano Thabo Mbeki ha commentato il rapporto della "Commissione per l'Africa", presentato l'11 marzo scorso dal premier britannico Tony Blair. La mole è notevole: più di 450 pagine fitte che spaziano dall'analisi delle ragioni storiche, politiche, strutturali e perfino ambientali della povertà in Africa per giungere ad un dettagliato piano di indicazioni e rimedi.
Va dato atto al premier inglese di aver sollevato la questione del "continente dimenticato": "la più grande tragedia del nostro tempo" - così le prime righe del rapporto definiscono la povertà e la stagnazione in Africa. Le cifre (vedi scheda) sono impressionanti tanto da affermare che "c'è uno tsunami al mese in Africa. Ma la sua onda mortale di malattie e fame uccide nel silenzio. E raramente fa notizia".
L'intento della commissione di 17 esperti, in gran parte africani, che ha redatto il rapporto non è, però, quello di far breccia nel senso di colpa del mondo opulento, e nemmeno soltanto di richiamare il "dovere morale" della comunità internazionale a porre fine alla tragedia che da decenni si abbatte sul continente africano. Vi è un "interesse comune", anzi, un "potente motivo di self-interest" (tornaconto) per le nazioni sviluppate nel tendere la mano all'Africa. Blair farà leva su questo argomento per convincere l'amministrazione Bush, i governi del G8 e dell'Unione europea a mettere l'Africa nell'agenda approfittando della presidenza britannica al prossimo vertice del G8 di luglio e all'Ue nella seconda parte di quest'anno.
Le sfide che il rapporto delinea non sono, infatti, rivolte solo ai Paesi africani, ma alle stesse nazioni sviluppate. La prima è quella della "governabilità" cioè della "capacità" dei leader africani di definire e attuare le proprie politiche e di "renderne conto" alle popolazioni: due punti deboli degli ultimi cinquant'anni - nota il rapporto. Per rafforzare la governabilità occorre, innanzitutto, combattere la corruzione: impegno che non riguarda solo i cosidetti "corrotti" (gli africani), ma anche i "corruttori" (governi e imprese dei Paesi ricchi). Ciò significa toccare interessi forti che finora hanno impedito ai governi di sottoscrivere il Trattato Onu contro la corruzione che, ad oggi, ha ricevuto solo 18 ratifiche.
Per rispondere al bisogno di pace e sicurezza dell'Africa il rapporto propone di agire sulle cause dei conflitti tra cui il controllo di quelle risorse che abbondano nel continente e che negli ultimi decenni hanno rappresentato "la benedizione ma anche il flagello" delle sue popolazioni: petrolio, diamanti, metalli preziosi e altre risorse naturali. Risorse che servono a sostenere il tenore di vita dei paesi sviluppati e sulle quali i vari dittatori e "ribelli" africani hanno costruito le loro fortune alimentando i propri eserciti. Non a caso quindi il rapporto propone, positivamente, di giungere presto ad un Trattato internazionale sul commercio delle armi. Vedremo quanto i Paesi del G8 e dell'Ue - cioè i principali "produttori, esportatori e intermediari" di armamenti - saranno disposti a concedere, zittendo le varie lobbies dell'industria delle armi, spesso a partecipazione statale.
Un punto nodale riguarda, infine, le tre "dinamiche contraddittorie" che hanno dominato le relazioni tra l'Africa e i paesi industrializzati: il commercio internazionale, il debito estero e gli aiuti. Negli ultimi vent'anni l'Africa è scesa dal 6 al 2 percento del commercio mondiale e - nota il rapporto - "le nazioni industrializzate ne hanno costituito un ostacolo allo sviluppo sovvenzionando i propri prodotti agricoli". La Commissione propone di "facilitare il commercio dei prodotti africani", ma i G8 spingono invece verso il "libero mercato" secondo i dettami dell'Organizzazione mondiale del commercio.
Circa il debito, il rapporto ne ripropone la cancellazione totale utilizzando le risorse rese disponibili per combattere malattie, ignoranza e povertà endemica. Una richiesta che da anni le campagne internazionali pongono ai G8, ma che finora è stata ignorata.
Sugli aiuti due semplici constatazioni: per ogni due dollari che l'Africa riceve in aiuti, ne ripaga uno in interessi sul debito. E mentre "una mucca europea riceve due dollari di sussidi al giorno e una giapponese quattro", la media dello stipendio giornaliero di metà della popolazione africana è ancora di un dollaro al giorno.
Il rapporto, in definitiva, indica la strada per superare i problemi che attanagliano l'Africa. Vedremo nei prossimi mesi se i governi saranno disposti a farlo diventare un programma di azione o se rimarrà, ancora una volta, una montagna di carta. Un'impegno che, comunque, non andrebbe trascurato da chi è attivo da anni a fianco della società civile africana. Il Rapporto può diventare, infatti, un'ulteriore leva della società civile e di diverse campagne per far pressione sui governi del G8 e dell'Ue.
di Giorgio Beretta
LA SCHEDA
Il Rapporto "Il nostro interesse comune" della Commissione per l'Africa indetta dal premier britannico Tony Blair presenta la tragica fotografia del continente: le probabilità di vita non superano mediamente i 46 anni e sono in diminuzione, mentre in alcune nazioni scenderanno presto a soli 30 anni; 20 milioni di africani sono morti a causa dell'Hiv/Aids, infezione che in alcuni paesi colpisce più del 40 percento della popolazione; 344 milioni sono i malati di malaria con zone dove il contagio si è raddoppiato negli ultimi anni; 4 milioni di bambini muoiono prima di raggiungere i cinque anni, 250mila madri periscono durante il parto, 40 milioni di ragazzi non hanno una scuola.
La Commissione chiede ai paesi industrializzati di sostenere alcuni segnali positivi - tra cui le elezioni pluripartitiche in oltre due terzi delle nazioni africane - che si sono registrati nel continente in questi ultimi anni attraverso un'iniezione di 25 miliardi di dollari annui di aiuti per i prossimi cinque anni da destinare a servizi sociali, istruzione e sanità. E di adeguarsi presto alle promesse fatte nel 2000 all'Onu, quando decisero gli Otto obiettivi del Millennio, assumendosi l'impegno di realizzarli entro il 2015 attraverso lo stanziamento dello 0,7 percento del proprio Prodotto interno lordo. Regno Unito e Francia hanno definito un'agenda per poterli onorare, mentre Italia e Stati Uniti sono ancora agli ultimi posti. (G.B.)