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#inviaggio | Sciamani di ieri… e di oggi?
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Foto: A. Molinari
Tre musei, due sedi, un tema. È così che si articola la mostra Sciamani, mentre declina da un lato gli aspetti del “Comunicare con l’invisibile” e dall’altro quelli di “Téchne, spirito, idea”. Aperta dal 17 dicembre scorso e visitabile fino al prossimo 30 giugno negli spazi espositivi di Palazzo delle Albere a Trento e del Museo etnografico trentino a San Michele all’Adige, è un viaggio tra antropologia, psicologia, archeologia e arte contemporanea ed esplora in modo affascinante lo sciamanismo, facendosi occasione per riflettere sul rapporto tra gli esseri umani e quella sfaccettata dimensione dell’inaccessibile. E questa parola, nonostante gli studi che hanno approcciato il fenomeno da molteplici punti di vista, resta ancora oggi appropriata per riferirsi a un concetto estremamente complesso e difficile da racchiudere in un singolo paradigma, in un solo cassetto concettuale.
Proviamo però a capire… chi è lo sciamano? Un mago, una guida spirituale della comunità, un profondo conoscitore dei rimedi della foresta, un/a medicine-man/woman, una sorta di eroe culturale, un punto di riferimento per la collettività? Probabilmente è un po’ di tutto questo e di più, di fatto qualcuno in grado di esorcizzare le paure del gruppo… dunque una sorta di psicanalista ante litteram?La difficoltà nel circoscriverne i confini racconta più di ogni altra cosa quanto questa figura sia articolata e densa di significati e ruoli, anche a seconda delle culture, ed è una delle ragioni per cui la mostra si concentra sull’esplorazione della pratica sciamanica in un contesto preciso, quello dell’Asia centrale (Siberia, Cina e Mongolia). A ciò si aggiunge che non sappiamo dove e quando lo sciamano “sia nato”, come ricorda in uno dei video della mostra l’Antropologa dell’Università di Torino Lia Zola: “Esistono forme di sciamanesimo e pratiche sciamaniche in moltissime zone del mondo, spesso con tratti simili o affini, ma allo stesso tempo ogni forma di sciamanesimo, ogni pratica e ogni sciamano hanno una propria autonomia e unicità, legate al contesto di appartenenza”.
La descrizione di sciamano/a è dunque convenzionale e tipica soprattutto del periodo moderno e contemporaneo, a partire dalle esplorazioni del XVII secolo: da una di queste emerge una prima definizione, proveniente dalle lingue tunguse della Siberia, di sāman (poi assorbito nel russo šaman), termine che passa poi alle lingue indoeuropee. L’etimologia è dibattuta e antica: la radice sa- per alcuni indica il sapere e la conoscenza, per altri uno stato di agitazione e di esaltazione, uno stato di coscienza alterato. Altri ancora rilevano influenze delle lingue indoeuropee (p.es. il Pali) dove samaņa indicava anticamente l’asceta, il monaco.
Ma il fascino dello sciamanismo non è solo una questione linguistica: nelle aree in cui è presente, il concetto di sacro si manifesta in quasi tutti gli aspetti del quotidiano e del paesaggio, con un insieme di energie, luoghi e fenomeni che circondano l’umano e ne condizionano l’atteggiamento verso l’ambiente e le altre specie. Si pensa infatti che esse posseggano una forza vitale e un certo grado di coscienza e intenzionalità: possono proteggere e assistere, ma anche punire e distruggere, e lo sciamano è colui o colei che è in grado di stabilire un dialogo con essi, mediando le relazioni tra gli esseri umani e, appunto, il sacro.
E queste sono solo un paio delle intriganti riflessioni che la mostra avvia su più piani (compresa l’esposizione di opere d’arte contemporanee, ma anche i focus sui costumi, gli strumenti, le armi, le donne, la natura, i suoni, i rituali, la contemporaneità, le persecuzioni subite nella storia) e che fanno intravedere – oltre l’idea più o meno concreta che probabilmente molti di noi conservano nel proprio immaginario di riti atavici, maschere inquietanti, allucinazioni, luoghi e cerimonie esotiche – come lo sciamanesimo sia tutt’oggi uno spunto estremamente attuale per riflettere sul nostro rapporto con ciò che ci risulta invisibile, incomprensibile, inafferrabile, sul bisogno di mediazione che ancora sentiamo tra ciò che siamo e ciò che ci circonda. Un bisogno per cui la mostra apre porte a profondi interrogativi che riguardano in maniera dirompente il nostro presente, chi siano gli sciamani di oggi e quale siano le loro sfide e le nostre, sia come individui sia come elementi di una collettività e di un paesaggio per nulla esentati dall’elaborazione della propria versione di tutela ambientale e di coesione sociale, contestualizzate in un’epoca complessa e critica che non può permettersi di escludere il sacro.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.