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Verso Cancun, nuove sfide per i movimenti mondiali
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Proviamo a seguire la giornata immaginaria della nostra famiglia tipo. La nostra bambina tipo, di 8 anni, si avvia verso la scuola sul suo pulmino fiammante (gentile omaggio di un'impresa che produce automobili, audiovisivi e software); entra in un corridoio affollato di cartelloni pubblicitari e consuma così la colazione gentilmente offerta dalla compagnia leader nel settore delle bibite gassate, leggendo nel frattempo il programma delle lezioni, stampato sul vassoio a fianco di alcune informazioni su una corretta alimentazione.
Nel frattempo sua nonna si reca, con le carte di credito ben nascoste, presso un ospedale privato per fare le analisi del sangue; sull'ingresso la colpiscono le pubblicità turistiche con villaggi appositi per gli anziani convalescenti: il tutto fa parte del programma pensionistico di una nuova assicurazione sanitaria che assicura "Leisure, safety and health" a tutti gli abbonati.
Alla fontana del giardino, la nonna assetata può scegliere tra tre rubinetti colorati (che ricordano vagamente quelli dei vecchi pub): acqua gassata, naturale o thé freddo deteinato, ciascuno gentilmente offerto da un diverso ramo del comparto alimentare della multinazionale che controlla l' ospedale.
Sembra fantascienza, e per il momento è solo un esercizio di scrittura, ma questo incubo potrebbe diventare realtà. Ospedali mercificati, rubinetti di acqua con i loghi più o meno noti di colossi dell'economia mondiale, libri di testo con i marchi delle multinazionali stanno diventando i simboli ricorrenti delle campagne che denunciano i rischi delle politiche neoliberiste, della mercificazione portata in atto da governi nazionali e sopranazionali, dalla politica sconsiderata dell' Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC, o in inglese WTO). In alcune realtà, del resto, si trovano scenari che già adesso evocano la mercificazione totale: la giornata della piccola Kitty non è in fondo molto diversa dalla giornata di bambini statunitensi che ricevono quotidianamente sussidi didattici, sponsor, lezioni, o pasti da aziende come Minute Maid, Proctor & Gamble, Mc Donalds, Kellogg's e tante altre.[i]
Il nostro mondo è veramente sottoposto a una minaccia di queste dimensioni o si tratta di esagerazioni di anti - globalizzatori catastrofici e arretrati? Che proporzioni assumerà questa minaccia, e quanto modificherà le nostre abitudini correnti? A queste domande proveremo a dare risposta nel corso di un breve excursus sulla nascita del WTO, sugli accordi attualmente in fase di negoziato, per comprendere meglio le prospettive con cui guardiamo alla prossima Conferenza Ministeriale del WTO, che si terrà a Cancùn il prossimo settembre.
Il mondo che ci stanno preparando
1. Il WTO: la nascita
Nata nel 1995 nel corso dell'Uruguay Round, l'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) sembra sorgere dal nulla. In realtà, il WTO ha alle spalle, lontanissime nel tempo, le ceneri di un precedente progetto, l'ITO o International Trade Organization, parte del progetto di governance globale partorito negli accordi di Bretton Woods, e che si inscriveva nell'ideale di un mondo governato da regole comuni. Di fatto, l'ITO rimane inattivo, a differenza delle sorelle WB e IMF (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale) poiché inadeguato alla necessità statunitense di garantire uno sbocco commerciale alla propria sovrapproduzione industriale. A tale scopo risulta più adeguato il GATT, trattato di liberalizzazione che coinvolge solo 23 paesi: se non la madre, è la cugina più prossima del WTO.
La nascita del WTO nel 1995 deve quindi far pensare a una fase e a una volontà politica nuove rispetto a quel primo progetto. Le regole comuni che si vogliono ora imporre si inseriscono in un divario sempre crescente e ormai incalcolabile tra nord e sud del mondo; e corrispondono a una mutata funzione degli stati: non più gestori politici di un'economia che almeno formalmente deve rispondere alle sfide economiche e sociali, ma garanti e gestori della sicurezza e dei profitti dei privati, sempre più enormi e concentrati nelle mani dei pochi attori egemoni sul mercato internazionale.
2. Gli obiettivi
Il WTO nasce con l'obiettivo di estendere al mercato mondiale le regole della libera concorrenza, nell'ottica che la liberalizzazione economica aumenti il tenore di vita e favorisca lo sviluppo. Per risolvere i problemi, si tratta solo di aumentare la trasparenza e l'equità di condizioni di tutti gli attori sulla scena del commercio globale, e di abbattere gli squilibri innaturali, le discriminazioni nella concorrenza, i protezionismi: una logica che, malgrado la sua apparente ragionevolezza, appare passibile di numerose critiche e suscettibile di riforme.
L'applicazione di questa libera concorrenza sembra ridurre l'intero mondo a un mercato, a maggior ragione in assenza di politiche e scelte sociali. Non esiste alcun contraltare che salvaguardi gli interessi non direttamente legati all'economia (che, in realtà, sembrano identificarsi con i poteri economicamente forti). E la normativa GATT già vigente, che applica la libera concorrenza alle politiche industriali e agricole, ne fornisce una prova. Ricordiamo tutti le vere e proprie guerre commerciali tra USA e UE , tra cui è particolarmente famosa quella provocata dal rifiuto europeo a importare senza alcuna dicitura speciale carne contenente ormoni - tale rifiuto, più rigoroso del necessario, è all'origine di sanzioni e dazi che colpiscono alcuni prodotti europei. Un altro esempio, ben più drammatico e scottante, è il fenomeno del dumping, la vera concorrenza sleale esercitata a danno delle agricolture del terzo Mondo: la riduzione delle tariffe, non viene applicata nella stessa misura da tutti i paesi, e le economie del Terzo mondo si trovano a competere con esportazioni europee rese possibili da 250 miliardi di dollari di sussidi ogni anno.
Il complesso di meccanismi e regole già applicato al mercato dei beni,dal 1995 a oggi va estendendosi a una sfera sempre più vasta. Oggi sono stati affrontati con la stessa prospettiva temi come brevetti farmaceutici e agricoli, le politiche agro-alimentari e il commercio dei servizi nel loro complesso (160 quelli già inseriti nei negoziati, tra cui acqua, istruzione, ambiente, sanità, trasporti); altri settori sono stati individuati per i negoziati futuri.
3. Verso l'espansione selvaggia.
Si apre così la nuova fase del neoliberismo mondiale, lungamente preparata dalle svolte neoliberiste degli anni '80: il mercato globale si deve estendere alle nuove fonti che, più redditizie della produzione agricola e industriale, e soprattutto non ancora controllate, offrono la possibilità di cristallizzare un immenso guadagno e un immenso divario. Liberalizzare i servizi significa infatti mettere le mani su settori fondamentali, su mercati enormi e soprattutto garantiti. A tal proposito, questo il parere ufficiale del Commissario Europeo al Commercio, Pascal Lamy: "I servizi giocano un ruolo sempre più importante nell'economia globale, ma questa posizione forte e crescente non è ancora riflessa nella composizione del commercio mondiale. Diverse barriere all'accesso continuano a ostacolare il commercio dei servizi e agiscono come un freno sulla crescita economica. Teoricamente, in ogni paese l'andamento del settore dei servizi può fare la differenza tra una crescita cospicua e rapida, poiché i servizi costituiscono uno stimolo essenziale per la produzione di beni e di altri servizi. Essi comprendono una vasta e diversificata gamma di attività economiche e sono a fondamento delle economie dei paesi sviluppati, e anche di molti paesi in via di sviluppo. L'accesso a servizi di alta qualità, in particolare quelli legati alle infrastrutture come le telecomunicazioni, i trasporti e i servizi finanziari, reca vantaggio all'intera economia, aumentando la produttività nei diversi settori ed è cruciale per lo sviluppo economico." (Dati estrapolati da Captive Kids. A report on corporate takeover of schools, in www.corpowatch.org, a cura del Corporate Watch Institute)
I vertici che hanno segnato la progressiva apertura del mercato di servizi sono le Conferenza Ministeriali di Seattle del 1999 , e Doha del novembre 2001, accompagnati da un crescente movimento di pressione dell'opinione pubblica, allarmata dalle possibili conseguenze di una liberalizzazione selvaggia. Grazie alle contestazioni il vertice di Seattle si è chiuso senza l'apertura di un novo round di negoziati (il tanto enfatizzato Millennium Round); ma a Doha, nel Qatar, lontano dalle proteste, gli stati aderenti non hanno perso tempo.
I principali imputati sono gli accordi sul copyright, racchiusi nel famigerato TRIPS (uno dei temi centrali sul piatto a Doha), e l'Accordo GATS, di cui ci occuperemo in dettaglio.
4. L'Accordo Generale sul Commercio dei Servizi: struttura e regole fondamentali.
Il nome GATS, che è la sigla di General Agreement for Trade of Services, mette un po' di spavento a chi ignora l'inglese e l'economia. I primi paragrafi, a leggerli, descrivono il paese dell'utopia e della meraviglia, in cui altissimi standard di qualità, libertà di scelta, equità sociale e immensi profitti sono obiettivi correlati l'uno all'altro, non solo compatibili, ma addirittura reciprocamente indispensabili.
Il funzionamento di questo accordo è regolato da alcune norme abbastanza semplici. I principi di funzionamento costituiscono quella cornice legale rigida che fa da sfondo alle singole trattative: i principi generali e gli obiettivi dell'accordo, la definizione di ciò che in ambito WTO si intende per servizio, le regole di applicazione, che precedono i risultati delle trattative (in pratica si tratta dell'elenco dei settori che gli stati avranno deciso di liberalizzare, e che sarà ultimato solo nel 2005, alla scadenza definitiva del Round).
I servizi liberalizzabili sul mercato mondiale sono dunque raccolti attraverso quattro modalità: [1] fornitura oltre i confini (l'azienda fornisce il servizio nel territorio di un altro paese); [2] consumo oltre il confine; [3] presenza commerciale, che include filiali, infrastrutture controllate e fornite dall'azienda, e, in pratica, gli investimenti; [4] spostamento di persone, quindi trasferimento i dipendenti o personale qualificato. Questa vastissima definizione di servizio commerciabile su base trans-nazionale comprende circa 160 servizi, tra i quali rientrano le categorie dei servizi finanziari (con la possibilità, conseguente, di una liberalizzazione dei sistemi di previdenza) le risorse ambientali (quindi forniture idriche, energetiche); i trasporti; le telecomunicazioni; i servizi culturali; le produzioni di audiovisivi; i sistemi sanitari; la formazione secondaria e universitaria; i servizi alle imprese (ad esempio consulenze e collocamenti); i servizi postali; il settore turistico.
Praticamente, è incluso ogni tipo di servizio ad eccezione di magistratura, esercito e burocrazie statali.
A tutti questi settori vengono applicate le normative di libera concorrenza: ciò significa che ai governi sarà vietato di promulgare normative che abbiano come fine o come effetto quello di discriminare il libero accesso al commercio di un determinato servizio; le normative a tutela dell'ambiente, dei diritti dei lavoratori, dei consumatori, della trasparenza o dell'equità sociale non dovranno essere più rigorose del necessario.
Parliamo non solo dei governi e dei parlamenti nazionali o sopranazionali (regionali e continentali, ad esempio), ma anche, in direzione opposta, degli Enti locali, poiché il GATS si applica a tutti livelli compreso quelli comunali, provinciali e regionali.
Tradotto in pratica, potrebbe voler dire che se una piccola mensa biologica della scuola materna di un minuscolo comune si trovasse a competere con un colosso dell'alimentare, l'Ente potrebbe trovarsi impossibilitato a scegliere la cooperativa in base alla troppo rigorosa volontà di salvaguardare la salute e la corretta educazione alimentare dei suoi piccoli cittadini. La multinazionale sarebbe messa sullo stesso piano della piccola mensa, in una competizione basata esclusivamente su criteri economici; tuttavia, secondo i fautori del GATS, la qualità e l'efficienza del servizio sarebbero premiate proprio grazie al naturale meccanismo della competizione economica.
Esaminiamo ora alcuni dei principi fondamentali che dovrebbero garantire questa assenza di discriminazioni. Il principio della nazione più favorita stabilisce che le concessioni applicate da un paese membro a un altro vengano automaticamente estese a tutti gli altri, impedendo il formarsi di rapporti commerciali privilegiati. Il principio del trattamento nazionale stabilisce che non vi possano essere discriminazioni a favore delle propria industria o fornitura nazionale: se il settore è liberalizzato, l'azienda di Stato deve competere con i fornitori provati esteri, in ogni caso.
Tali regole permettono alcune eccezioni, che però espongono alla possibilità di subire ritorsioni, richieste di apertura e citazione da parte di altri stati, le cui aziende hanno interesse a espandersi: già adesso, tra i paesi dell'Unione Europea, l'Italia ha ricevuto il più alto numero di questo tipo di richieste, riguardanti la barriere sui servizi pubblici (in particolare 5 richieste di abbattimento, una di restrizione degli scopi e una di chiarimento). Se poi consideriamo che le controversie di questo tipo vengono risolte da un tribunale interno (è un caso unico tra le organizzazioni internazionali), il Dispute Settlement Body, che affida il giudizio gruppi di tre esperti nominati dalle commissioni giudicanti, i panels, ci rendiamo anche conto della quasi irreversibilità di questi accordi, e del loro schiacciante potere.
Il quadro complessivo rischia di essere la trasformazione del complesso dei bisogni e dei diritti in un enorme mercato, per di più squilibrato: difficile affermare il contrario, di fronte a norme come il single undertaking (gli accordi devono essere sottoscritti tutti insieme, senza possibilità di rigettarne una parte: un capestro per le nazioni più deboli, e non solo), o come la regola del fornitore principale, secondo cui la nazione preminente nell'offerta di un prodotto ha diritto, essa sola, a concessioni tariffarie da parte dell'importatpre: (praticamente una legittimazione delle egemonie e dei divari pre-esistenti).
5. I problemi e le sfide politiche.
Un problema di squilibrio, dunque. Ma non solo. C'è anche un problema legato al mercato, all'idea che la libertà di concorrenza sia di per sé una fonte di efficienza e di ricchezza.
Problemi legati all'equità della distribuzione, anche all'interno degli stati: cosa che la gestione del mercato non basta, di per sé, ad assicurare.
Problemi di genere, che si intrecciano agli altri problemi di equità: laddove l'accesso a un servizio o bene fondamentale sarà una lotta, le donne rischiano di essere due volte deprivate.
Problemi che riguardano il diritto del lavoro: minacciato dalla inevitabile ricaduta delle privatizzazioni (una delle conseguenze logiche dell' applicazione del GATS) e dalla necessità di abbassarne il costo e di frantumarne i ritmi, per reggere la competitività.
Problemi di sovranità e democrazia: un accordo del genere, impedendo ai governi di legiferare su aspetti fondamentali come salute, lavoro, equità sociale e di genere, non svuota di senso le istituzioni elettive e, quindi, la stessa capacità di esercitare i nostri diritti di cittadinanza e la nostre scelte politiche? Il mondo complessivo che questi accordi disegnano è in ultima analisi agghiacciante. L'economia come strumento di egemonia e di dominio, affiancato a un controllo militare interno ed esterno: un intero universo di diritti e di doveri ridotto a un mercato di beni e servizi da scambiare tra pochi. Gli accordi per la liberalizzazione dei servizi costituiscono una pietra miliare dell'era dell'accesso, in cui lo status della persona non si definisce più in base alla sua condizione giuridica, ma in base alla sua possibilità di accedere a determinati servizi; e questa possibilità dipende in misura rilevante dalla condizione economica, nel momento in cui il libero mercato è l'unica forma di gestione e offerta.
Tale processo di mercificazione è del resto più lontano nel tempo: in quella che può giustamente essere definita come l'offensiva sociale degli anni '90, l'ondata di privatizzazioni che si è abbattuta sull'Europa ha creato molte condizioni di partenza: l'apertura ai privati di settori strategici (acqua, energia, pensioni, servizi postali e sanitari), l'introduzione dei nuovi standard di valutazione efficientismi e produttivisti, improntati a alla stessa ideologia aziendale che ha guidato la riorganizzazione e la svendita di interi comparti pubblici. Il GATS costituirebbe l'ennesimo e definitivo affondo, che sancirebbe l'irreversibilità e la dimensione di questi mutamenti.
Ma servizi come quelli compresi nel GATS non possono essere valutati solo in base alle scelte economiche. Per molti di questi servizi, un accesso selettivo e non paritario costituisce anche un deficit di efficienza, il che appare con particolare evidenza in rapporto ai parametri di valutazione di servizi come la sanità o l'istruzione: anche al più distratto dei cittadini pare riduttivo che la qualità di un sistema scolastico o sanitario si valuti dal rapporto tra offerta e domanda e che in un mercato libero, la competitività economica possa corrispondere a quegli aspetti non aziendale di cura delle persone e di attenzione specifica che sono richiesti da quel tipo di prestazioni. Per altri settori il problema è più complesso; siamo abituati da tempo a percepirli come merci, e non riusciamo immediatamente a pensarne un altro utilizzo, una gestione alternativa. L'acqua si compra in bottiglia; pure, appare abbastanza evidente che essa è un bene fondamentale per la vita, ed è quindi ragionevole sostenere che il suo utilizzo non debba essere sottoposto alle stesse logiche che regolano la produzione e il consumo di una qualsiasi bevanda gassata.
Il problema che si pone non è tanto quello di contestare una singola applicazione della normativa, ma forse è quello di ripensare un modello alternativo di gestione dell'economia: in cui la politica segua le strade che danno risposte ai bisogni e ai diritti collettivi (ciò che intendiamo come pubblico), e non sia una mera garanzia economica e militare dei profitti di pochi (ciò che è assolutamente privato).
È una nuova sfida che si apre alla politica: difendere ciò che, diritto, è oggi minacciato, ma anche trovare delle nuove forme per una gestione di questi diritti, che sappia tenere conto delle esigenze sociali e uscire dal dogma - fallimentare, come abbiamo visto - dell'equivalenza di libera concorrenza, efficienza e sviluppo. Una nuova sfida che i movimenti sociali dovranno rilanciare con ancora più forza: la prospettiva da cui guardare al vertice di Cancùn.