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Uno stanco sirtaki per la Grecia
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Estate calda in Grecia. E non solo per le temperature afose che hanno già fatto decretare il 2015 come “l’anno più bollente di sempre”. A dire il vero l’atmosfera politica si era fortemente surriscaldata all’inizio dell’estate con i frenetici negoziati con Bruxelles seguiti al mancato rimborso greco della rata del prestito internazionale e al referendum popolare che ha detto “no” al proseguimento delle misure di austerità indette dalla trojka in cambio dell’elargizione ad Atene di immediate iniezioni di fondi per consentire il funzionamento della macchina statale. Poi un tira e molla infinito: l’accettazione del nuovo piano di risanamento stilato dal Premier Alexis Tsipras, la sua approvazione dal Parlamento greco in nome della necessità impellente di procedere con il pagamento degli stipendi, con l’erogazione dei servizi di welfare essenziali, e con l’importazione di beni necessari quali i prodotti energetici, e una nuova rinegoziazione con le autorità europee.
La difficile costruzione del “paniere” di scambio tra aiuti e riforme ha impresso un ritmo stanco a un sirtaki che ben poco aveva di affascinante, nonostante sul palco si stesse sancendo il futuro della Grecia e, secondo numerosi analisti e una buona fetta dell’opinione pubblica europea, quello della stessa “affezione” all’UE. Uno spettacolo denso di colpi di scena ma senza applausi finali, in cui la vision europea in relazione alla Grecia, ossia la visione strategica a cui si vuol tendere, fatta di valori, ideali e aspirazioni in generale, continua a mancare a favore della garanzia di riuscire a portare a casa un risultato concreto seppur di breve, se non di brevissimo termine.
E alcune ricadute immediate in Grecia in effetti ci sono state.
Uno. Varata alla fine di luglio la norma che innalza l’Iva dal 13 al 23%, in particolare sui prodotti alimentari ma anche sui trasporti, il provvedimento non poteva che destare preoccupazione per l’incidenza sui consumi. È in particolare per quelli nelle isole greche, nel pieno della stagione d’oro del turismo che vale al Paese circa il 30% del Pil, che il conto presentato appare piuttosto salato, laddove vige uno status fiscale piuttosto agevolato. Merito delle acque cristalline, del sole caldo e dei tramonti sul mare, dell’accoglienza discreta quanto familiare, del gyros, dello tzaziki e dell’ouzo (tanto per citare uno stereotipato menù di “taberna” greca), se i turisti affollano le isole greche da maggio fino a ottobre. Merito però anche di prezzi assai competitivi su un mercato che negli ultimi anni la Grecia condivide con Croazia e Turchia. E se gli ultimi colpi di mano del presidente Erdoğan segnalano un arresto del flusso turistico sulle sponde turche, altri paradisi del relax restano delle validissime alternative alle isole greche e altri ancora potrebbero essere improvvisamente scoperti dal popolo delle ferie low cost. Va da sé in ogni modo la riflessione sull’instabilità delle economie a “monocultura”, che sia il petrolio, lo zucchero o il turismo, che non danno garanzie di stabilità e benessere, dovendo sottostare all’andamento di mercato e non avendo alternative dinanzi a brusche variazioni di tendenza.
Due. Non sono solo le tasse o i turisti in vacanza ad aumentare in Grecia. Lo sono anche i numeri dei migranti in arrivo sulle coste più orientali delle isole greche, al confine con le acque della Turchia. Le limitate strutture di accoglienza, il degrado sociale e il confronto con la realtà di un Paese sull’orlo della bancarotta determinano una situazione che da diversi mesi è stata denunciata come esplosiva. Gli scontri che si sono verificati sull’isola di Kos alla vigilia di ferragosto sono solo la punta dell’iceberg delle difficoltà incontrate nella gestione del forte flusso di migranti. Il significativo arrivo dei migranti, per di più profughi della Siria, in corrispondenza con il picco degli afflussi dei turisti ha creato un ulteriore corto circuito in un sistema di accoglienza che sembra vertere nel caos più assoluto.
Tre. Lo scorso 20 agosto il Primo Ministro Alexis Tsipras ha rassegnato le proprie dimissioni con un messaggio alla nazione in diretta televisiva. Lo scopo è quello di ottenere alle prossime elezioni, già fissate per il 20 settembre, un mandato più forte dopo le spaccature registrate all’interno del suo partito, Syriza, all’indomani dell’accoglienza del terzo piano di aiuti targato trojka. Tsipras dunque lascia. Ma solo come pura strategia politica per sanare una situazione di governo ormai ingestibile con 149 seggi parlamentari su 300, di cui 44 “dissidenti”. Un mandato più ampio, con maggioranza assoluta, gli consentirebbe di varare tutte le misure previste dall’accordo internazionale di “salvataggio”, quello stesso che gli ha inimicato parte del suo elettorato che lo ha accuso di aver così tradito il risultato del referendum popolare.
Questa è la Grecia oggi. E se un sano bagno di realtà può meglio consentire di misurare l’entità e gli obiettivi di riforme e di aiuti, quel pizzico di “pazzia” tanto declamato dallo Zorba del celebre romanzo di Nikos Kazantzakis consentirebbe però senz’altro di levare lo sguardo e di andare oltre al contingente e all’immediato nell’ottica della condivisione tra governance europee e governo greco di una visione comune, anziché di assistere a un continuo scontro istituzionalizzato.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.