Un ponte per: lettera al movimento contro la guerra

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A due mesi dalla fine dei bombardamenti la situazione in Iraq è ancora estremamente precaria. Il mancato rispetto, da parte delle potenze occupanti, dell'obbligo sancito dalla Convenzione di Ginevra, di garantire sicurezza e bisogni essenziali sta facendo precipitare la situazione umanitaria. Milioni di persone sono senza stipendio da mesi e comincia a mancare il cibo. Il coprifuoco si protrae, la città è di notte in mano alle bande, nessun settore della vita civile accenna a tornare alla normalità.

Nello stesso tempo il forte indebitamento estero del paese, la probabile imposizione di ricette iperliberiste, l'appalto della ricostruzione a compagnie estere e la probabile uscita dall'OPEC lascia temere uno sviluppo che cancellerà garanzie sociali tradizionali in Iraq - dalla sanità e dall'istruzione gratuita per tutti - e comporterà la creazione di ampie fasce sociali escluse dallo sviluppo.
Il Governo di Transizione, cui l'Italia partecipa, e il "Fondo per la ricostruzione" non vede la partecipazione degli iracheni; non si prevedono elezioni politiche (se mai ci saranno) prima di due anni, mentre importanti forze politiche irachene non sono nemmeno consultate. Siamo di fronte, a settant'anni dalla partenza degli inglesi, ad una nuova colonizzazione.
In questa situazione la caduta della dittatura invece che costituire una occasione di rinascita per il paese rischia di far cadere l'Iraq nel caos e di mantenervelo per molti anni. Intanto si sono spenti i riflettori, la stampa ha rapidamente girato pagina e l'opinione pubblica tende rapidamente a rimuovere.

Il movimento per la pace è comprensibilmente in una fase di riflessione e di valutazione della nuova situazione dopo lo sforzo gigantesco fatto per mesi in tutta Italia e nel mondo.

Occorre però che non si giri pagina:
Nello stesso tempo il forte indebitamento estero del paese, la probabile imposizione di ricette iperliberiste, l'appalto della ricostruzione a compagnie estere e la probabile uscita dall'OPEC lascia temere uno sviluppo che cancellerà garanzie sociali tradizionali in Iraq - dalla sanità e dall' istruzione gratuita per tutti - e comporterà la creazione di ampie fasce sociali escluse dallo sviluppo. Il Governo di Transizione, cui l'Italia partecipa, e il "Fondo per la ricostruzione" non vede la partecipazione degli iracheni; non si prevedono elezioni politiche (se mai ci saranno) prima di due anni, mentre importanti forze politiche irachene non sono nemmeno consultate. Siamo di fronte, a settant'anni dalla partenza degli inglesi, ad una nuova colonizzazione. In questa situazione la caduta della dittatura invece che costituire una occasione di rinascita per il paese rischia di far cadere l'Iraq nel caos e di mantenervelo per molti anni. Intanto si sono spenti i riflettori, la stampa ha rapidamente girato pagina e l'opinione pubblica tende rapidamente a rimuovere.

Il movimento per la pace è comprensibilmente in una fase di riflessione e di valutazione della nuova situazione dopo lo sforzo gigantesco fatto per mesi in tutta Italia e nel mondo.

Occorre però che non si giri pagina: - la guerra non è finita, occorre riprendere la mobilitazione perché l'Iraq sia restituito agli iracheni anche costruendo IN IRAQ nei prossimi mesi e anni una rete di rapporti solidali con la società civile. - l'Italia, tornata potenza coloniale, sta per inviare soldati per garantirsi l'accesso alla torta della ricostruzione, occorre riprendere la pressione perché questo non avvenga. - La storia non deve essere riscritta.

La nozione che la crisi umanitaria è dovuta all'embargo è già stata cancellata. Abbiamo una responsabilità perché ciò non venga dimenticato e non possa accadere ad un altro popolo quello che è successo negli ultimi 13 anni in Mesopotamia.

La assemblea nazionale della associazione Un ponte per.

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