Un giorno un batterio…

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Le consuetudini ci accompagnano nella vita di ogni giorno, ne scandiscono i tempi e ne facilitano l’incedere, ci fanno risparmiare energia e ci rassicurano. E a quanto pare non siamo i soli “esseri abitudinari”. Un recente studio del MIT - Massachusetts Institute of Technology, conferma che nemmeno i batteri degli oceani rappresentano un’eccezione a questo trend. I ricercatori riportano infatti che i microbi delle profondità oceaniche si comportano secondo modelli prevedibili di attività biologica, quali mangiare, respirare e crescere. Alcune specie sono mattiniere ed esibiscono segni di attività biologiche come il respiro, il metabolismo e la sintesi delle proteine nelle ore mattutine, mentre altri entrano in azione a giorno inoltrato. E’ quanto riferisce Edward DeLong, professore di sistemi ambientali presso il dipartimento di ingegneria civile e ambientale del MIT, che condivide il suo stupore nello scoprire quanto l’attività batterica risulti sorprendentemente dipendente e ordinata: “Potremmo pensare che questi microorganismi impostino una sveglia per intraprendere le loro quotidiane attività, ad orari leggermente diversi ma sempre nello stesso ordine se si considera il loro comportamento rispetto alla comunità”. Si tratta di comportamenti rilevati in batteri in cui si riscontrano differenze genetiche pronunciate, e questo suggerisce che la regolarità delle loro abitudini non è dovuta alla “macchina del singolo organismo”, ma al suo “settarsi” sui tempi e i ritmi di una comunità più ampia, quasi come un’orchestra che si sia perfettamente accordata.

L’inizio di queste ricerche risale al settembre del 2011, quando DeLong e colleghi hanno raccolto, per tre giorni e a intervalli di due ore con l’aiuto di un robot galleggiante, campioni d’acqua marina proveniente dall’Oceano Pacifico. Il passo successivo è avvenuto in laboratorio dove, tramite tecniche di sequenziamento dell’RNA, sono stati individuati i geni che in ogni singolo momento della vita nella comunità sono attivati o disattivati per mettere in atto processi quali la respirazione e il metabolismo e la cui analisi ha permesso di identificare modelli di comportamento giornalieri di parecchie specie di batteri.

La maggior parte dei campioni erano dominati dal Prochlorococcus, il più abbondante organismo fotosintetico presente sulla Terra. Un tipo di plankton già conosciuto per il suo rigoroso metabolismo, sincronizzato con il sole: proprio nelle ore del mezzogiorno si riscontra infatti il picco di attività, che coincide con la produzione di carbonio. Assieme al Prochlorococcus sono state analizzate altre 5 specie di batteri eterotrofi, quelli cioè che hanno bisogno di nutrirsi di molecole organiche già sintetizzate, come fanno tutti gli animali, e che in questo caso si nutrono di carbonio per costruire nuove cellule. Si tratta di un sistema perfettamente strutturato, in cui i batteri lavorano insieme e si coordinano per lo svolgimento delle attività quotidiane, dandoci dimostrazione di quanto complessa e articolata sia la vita comunitaria di queste colonie.

Nel 2013 lo studio è stato ripetuto, concentrandosi questa volta su campioni prelevati lungo le coste, dove i ricercatori hanno avuto modo di osservare modelli metabolici meno regolari: una ragione che, a quanto riporta DeLong, può risalire al fatto che lungo la costa il nutrimento è molto più vario e proporzionato alle molteplici fonti (fiumi, concentrazioni di fitoplankton, ecc.) rispetto alle zone al largo dell’Oceano Pacifico, che possono essere assimilabili a un deserto con condizioni piuttosto stabili. E’ così che la presenza di Prochlorococcus diventa allora un’indispensabile regolatrice dell’equilibrio dell’ecosistema.

Un equilibrio che è importante preservare, soprattutto se consideriamo che l’Oceano Pacifico ospita - involontariamente ma tragicamente - quelle “isole di plastica” galleggianti esito di una pessima gestione mondiale del ciclo dei rifiuti. Acque che accumulano scarti di vario tipo grazie alla convergenza di correnti superficiali oceaniche, raggiungendo livelli agghiaccianti superiori a 1 milione di pezzi/rifiuto per chilometro quadrato, con una concentrazione che diminuisce drasticamente con l’aumentare della distanza dal centro di accumulo, ribattezzato “Plastisfera” e pesante più o meno quanto 132 Boeing 747.

Una modifica all’ecosistema oceanico imputabile alle abitudini dell’uomo, che ha introdotto in questo delicato equilibrio elementi artificiali di lunghissima durata: un inquinamento che interessa tutti e le cui conseguenze non sono ancora del tutto chiare ma che non ci esime dal porci alcune domande inevitabili: come incide, in un susseguirsi di effetti a catena, questo mutamento sugli organismi più grandi? E quali devastanti cambiamenti si prospettano all’orizzonte per le delicate abitudini dei microrganismi marini?

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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