Uganda: il desolante silenzio della tragedia

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Sarebbero più di 50 le vittime, tutti civili, di una serie di attacchi condotti nella regione di Lira, nord dell'Uganda dal sedicente Esercito di resistenza del signore (Lra). Dopo diciassette anni di guerra civile il Paese è prostrato. "Una situazione umanitaria peggio di quella dell'Iraq" denuncia il sottosegretario all'ONU per le questioni umanitarie Jan Egeland.

Sono arrivati nei villaggi attorno a Lira senza sparare un colpo ma hanno condotto il loro massacro con asce e machete. Secondo fonti MISNA sarebbero almeno 53 i morti accertati ma molte sono le persone che mancano all'appello. Alcune di loro sono fuggite dai villaggi, altre sono state probabilmente rapite. Dal 1986 i ribelli dello Lra, guidati dal loro leader Joseph Kony, sconvolgono i distretti settentrionali ugandesi: in 17 anni di terrore hanno ucciso e torturato decine di migliaia di persone (almeno 100mila morti), rapito più di 20mila bambini (ridotti in schiavitù o arruolati a forza nelle file della guerriglia) e provocato oltre 1 milione di sfollati.

Una dura denuncia della situazione arriva da Jan Egeland che dopo una missione nel Paese, e soprattutto nelle sue regioni settentrionali controllate dai ribelli della Lra, afferma che il disinteresse internazionale nei confronti della tragedia che si sta consumando in Uganda è un vero e proprio 'oltraggio morale'. "C'è ora da vedere", constata Matteo Fagotto di Warnews "se alle parole di Egenland seguirà un impegno più deciso dell'ONU per cercare di risolvere il conflitto o se queste dichiarazioni resteranno lettera morta".

Il governo di Kampala, capitale dell'Uganda, ha risposto alle offensive delle ultime settimane della Lra decidendo di potenziare le LDU (Local Defence Units), sorta di milizie composte da civili incaricate di proteggere i campi profughi e le infrastrutture, permettendo così all'esercito di concentrare i propri sforzi nella caccia ai ribelli. Per ora le LDU contano circa 10.000 militanti, quasi tutti giovani che ricevono un sommario addestramento prima di essere spediti sul campo.

La decisione di Kampala non trova però favorevole la comunità religiosa locale, ed in particolare l'arcivescovo di Gulu, John Odama. Odama ha infatti detto che l'armare la popolazione civile per l'autodifesa complica solamente la situazione, facendo precipitare ancora di più il Paese in quella spirale di violenza di cui è vittima da 17 anni. In questo modo, infatti, i ribelli avrebbero una giustificazione in più per attaccare i civili che sarebbero visti come nemici.

"Alla comunità internazionale questo conflitto non pare essere tanto diverso dai molti altri che caratterizzano l'intero continente africano. Ma che disastro serve accada per convincere i decisori internazionale ad intraprendere quei passi che portino alla pace nella regione?" si chiede Denise Lifton, in un articolo riportato recentemente da Oneworld.net. [DS]

Altre fonti: Warnews.

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