UNDP: multiculturalità per superare i conflitti

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E' stato presentato nei giorni scorsi il XVmo Rapporto dell'agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) dal titolo "Identità e differenze culturali in un mondo unito". Nell'era della globalizzazione, dove la diversità è spesso fattore di discriminazione, instabilità e conflitti l'agenzia invita ad "attuare politiche multiculturali che riconoscano le differenze, valorizzino le diversità e promuovano la libertà culturale". "Quasi nessun Paese - si legge nel Rapporto - è interamente omogeneo. I circa 200 paesi del mondo hanno al loro interno più di 5000 gruppi etnici e più del 10% della popolazione di numerosi paesi appartiene a minoranze etniche, linguistiche o religiose. E la globalizzazione ha dato un'accellerazione alla migrazione internazionale: "società multiculturali e interazione interculturale sono una nuova realtà" - sottolinea il Rapporto.

L'agenzia definisce l'identità culturale un "diritto umano" in quanto è un diritto "fondamentale per la capacità delle persone di vivere come vorrebbero", mentre l'esclusione si caratterizza come "negazione del proprio modello di vita e della propria partecipazione". La globalizzazione, con la conseguente accelerazione della migrazione e delle comunicazioni internazionali, sta rendendo sempre più attuali i conflitti dovuti alle identità culturali, come dimostrano le vicende del velo islamico nelle scuole francesi e delle violenze quotidiane in Kosovo, il dibattito sulla rappresentanza di sciiti e curdi nel nuovo stato iracheno e sulla lingua spagnola negli Stati Uniti.

Per dimostrare che il multiculturalismo (ovvero il rifiuto della riduzione delle varie identità ad un unico standard culturale) può rappresentare la soluzione, il rapporto cerca di smontare cinque "miti". Il rispetto delle differenze, anzitutto, non mina l'unità dello stato, perché ogni individuo può scegliere di identificarsi con molti gruppi diversi (di cittadinanza, di genere, di etnia, di lingua, politico o religioso) e perché la nuova sfida è proprio la creazione di stati eterogenei e unificati. Non è inoltre vero che i gruppi etnici sono propensi al conflitto violento a causa dei differenti valori, perché al contrario le cause degli scontri sono sempre economiche. È falso che la libertà culturale richieda la tutela di ogni pratica tradizionale, qualunque essa sia, e che i paesi con diversità etniche abbiano meno possibilità di sviluppo economico, come dimostrano Malaysia e Mauritius. Non è vero, infine, che alcune culture siano più fertili per la diffusione della democrazia: un'indagine condotta sui "World Values" indica che le persone dei paesi musulmani, ad esempio, sostengono gli stessi valori democratici di quanti abitano nei paesi non musulmani.

Il rapporto invita perciò a garantire la partecipazione politica delle minoranze, la libertà religiosa, specialmente attraverso il riconoscimento delle festività e delle norme sul matrimonio, sull'eredità e sulla sepoltura, ad attuare politiche per il pluralismo legale e linguistico e favorire l'uguaglianza socio-economica tra i vari gruppi. Chiede inoltre di difendere gli indigeni, i saperi tradizionali e i beni culturali, fornire sostegni adeguati per l'integrazione degli immigrati con corsi di lingua e servizi per la ricerca di un lavoro. [GB]

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