Tutti i segreti della Corte Suprema

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Foto: Unsplash.com

Un nostro amico, autore e magistrato cassazionista che ora ha un po’ più di tempo per se e per spiegare agli amici. L’occasione formale, la forzatura politica delle nuova giudice da parte di Trump, il terzo giudice scelto da Trump che ha cambiato radicalmente il tradizionale equilibro politico giuridico della Corte sino a ieri. Domanda apparentemente ingenua tre giorni fa, ancora vigilia elettorale Usa. «Ma perché questa nomina, decisa a tamburo battente da Trump al termine della sua contestata presidenza e nella previsione di una battaglia tutta in salita per la riconferma, è tanto importante e cosa decide la Corte Suprema USA ? ».

Giudici tra governo federale e singoli Stati

Senza tediarvi con troppi riferimenti storici e sistematici (la voce Supreme Court of the United States di en.wikipedia.org, per chi volesse approfondire, è più che sufficiente) basterà dire che la Corte Suprema, in un sistema federale perfetto quale è quello degli Stati Uniti, è l’arbitro dei conflitti di competenza, numerosi e spesso assai rilevanti, tra il Governo federale e quelli dei singoli Stati, nonché la custode delle libertà e dei diritti stabiliti dalla Costituzione, che può di conseguenza dichiarare l’incostituzionalità di una qualunque legge, statale o federale. Essa è anche il giudice di ultima istanza rispetto alle decisioni delle Corti di appello federali (che sono tredici) e, nelle materie che involgono questioni di interpretazione delle leggi federali, anche delle Corti dei singoli Stati.

La Corte che decide su cosa decidere

Inoltre, ed è un attributo poco evidente ma molto importante, è la Corte stessa che decide cosa decidere, senza dover fornire alcuna giustificazione riguardo alle sue scelte. Immaginate un sistema nel quale alla Corte arrivano circa settemila casi all’anno e di questi solo cento, uno più uno meno, vengono fissati per la decisione. La scelta è largamente discrezionale e si avvale del filtro di uno staff di giuristi il cui potere, occulto ed opaco, non rende conto a nessuno se non alla Corte stessa: si parla così a volte di un “decimo giudice”. 

Giudici bipartisan e giudici schierati

I giudici sono nove, vengono nominati a vita dal Presidente degli Stati Uniti e la scelta deve essere avallata dal voto del Senato. Ciò implica che un Presidente che non abbia dalla sua parte la maggioranza dei senatori dovrà fare una designazione bipartisan, mentre chi, come Trump, ha la maggioranza sceglie chi vuole.

L’incarico a vita, come dei Re

La nomina a vita ha tre implicazioni, una positiva e le altre due assolutamente negative: da un lato essa garantisce che chi giudica sia protetto nella sua indipendenza da qualsiasi mutevole maggioranza al Congresso e da qualsiasi Presidente degli Stati Uniti: si ricorda come Earl Warren, già governatore repubblicano della California, nominato Chief Justice da Eisenhower, abbia a sorpresa (soprattutto per il Presidente che lo aveva nominato) dato vita alle decisioni più progressiste della storia statunitense durante la sua lunga permanenza alla Corte (ben quindici anni). Lo stesso Presidente attuale, Roberts, nominato da George W. Bush, ha talvolta a sorpresa votato con i giudici di nomina democratica.

Forzatura Trump e il possibile conflitto Presidenza-Corte

Con la carica a vita, però, vi sono stati Presidenti che durante il loro mandato hanno avuto modo di nominare anche tre giudici (ed è sciaguratamente il caso di Trump), mentre altri, in due mandati, ne hanno nominato solo uno, come Clinton. Viene in tal modo anche cristallizzato l’orientamento della Corte, a volte per molti anni. Ed è probabilmente ciò che succederà dopo la recente nomina della Coney Barrett: la giudice ha solo quarantotto anni, la attendono perciò decenni di attività alla Corte Suprema e magari un futuro da Presidente della stessa: è una cattolica ultraconservatrice, segue la teoria detta dell’originalismo costituzionale, secondo la quale la Costituzione non va attualizzata, ma la sua interpretazione deve restare affidata alla volontà dei Padri fondatori, che l’hanno scritta oltre due secoli fa (la cosa bizzarra è che al tempo dei Padri una donna doveva restare a casa, altro che fare il giudice: ma questo non conta): con la sua nomina la maggioranza dei giudici conservatori è diventata schiacciante, sei a tre, ciò che potrebbe mettere in estrema difficoltà una prossima (e da molti auspicata) presidenza democratica.  Si potrebbe perciò, ovviamente in un contesto assai diverso, riproporre il conflitto che oppose la Corte Suprema – conservatrice, come tutte le Corti Supreme del mondo – a F.D. Roosevelt all’inizio del New Deal.

Trump in cerca di brogli e corte di parte 

Vi è infine un fattore di immediata preoccupazione: Trump ha più volte detto che non accetterà di buon grado la vittoria dei democratici nel caso di “brogli” nel voto per posta: in realtà sono il governo federale ed i governatori repubblicani quelli che stanno facendo tutto il possibile per boicottare il voto delle minoranze etniche e per rendere difficile l’accesso ai seggi (le modalità di voto sono di competenza dei singoli Stati). Nel caso di un (probabile) conflitto, la Corte Suprema sarà chiamata a decidere sulla regolarità del voto in uno o più Stati, come successe nel 2000 quando la controversa sentenza nel caso Bush c. Gore diede la presidenza al primo dopo le contestazioni sul voto in Florida. Una Corte come quella attuale composta da ben sei giudici di nomina repubblicana ben difficilmente sarà ritenuta serena ed imparziale e ciò al di là delle decisioni che dovessero essere prese.

Candidato con meno consensi popolari che diventa presidente

Il sistema costituzionale degli Stati Uniti è molto complesso, almeno ai nostri occhi europei: l’equilibrio tra il potere dei singoli cinquanta Stati, il Presidente, il Senato, la Camera dei Rappresentanti e la Corte Suprema è garantito da regole e prassi consolidate negli oltre due secoli di storia della democrazia americana ed ha, bene o male, retto ai cambiamenti sapendosi rinnovare nella continuità. Alcune regole, come quella che attribuisce l’elezione del Presidente non al voto popolare diretto (come molti credono) ma ad un collegio elettorale composto da grandi elettori nominati dal voto nei singoli Stati, secondo proporzioni stabilite ogni dieci anni sulla base del censimento della popolazione, può creare situazioni come quella del 2006, quando la Clinton vinse ampiamente nel voto dei cittadini ma Trump prese più delegati di lei grazie al gioco del voto stato per stato: situazione alla quale Trump punta apertamente per la sua riconferma.

La nomina della Coney Barrett, pur essendo legittima, ha creato in questo delicato sistema un ulteriore fattore di potenziale instabilità del quale non si sentiva il bisogno.

Da Remocontro.it

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