Time for Africa: è tempo di 'tecnologie appropriate'

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Su stili di vita e organizzazione di gruppi umani, le tecnologie propongono una propria visione delle cose. Lontane dall'avere un atteggiamento neutrale, impongono la loro interpretazione di benessere e riproducono i codici di un determinato modello di società. E' accaduto con il fenomeno della occidentalizzazione, diffuso in parte proprio con il trasferimento di tecnologia, spesso travolgendo culture, tradizioni e sistemi economici, considerati meno efficienti o sottosviluppati. Ora che il pianeta sta soffocando nei rifiuti, generati dal modello di crescita predicato dall'Occidente, c'è chi si chiede se forse non sia il caso di cambiare rotta, nei progetti di cooperazione internazionale, così come a casa nostra, dando un'aggiustatina a stili di vita diventati ormai insostenibili.

E' questo, in sintesi, il pensiero che la Onlus friulana 'Time for Africa', assieme ai suoi partner africani e con il sostegno di 'Etica ed Economia' e del 'Centro Ricerca Tecnologie Appropriate di Cesena', sta applicando in Mozambico, nel distretto di Maututine. Insieme vogliono fornire alla popolazione gli strumenti e le conoscenze necessari a valorizzare la cultura e le tecniche di lavorazione tradizionali, per poi creare economie di villaggio sostenibili. Il tutto, attraverso l'impiego delle sole tecnologie che si possono dire "appropriate".

Appropriate a quale scopo? E' presto detto: a soddisfare i bisogni delle persone, senza ricorrere per forza a strumenti di ultima generazione, ma semplicemente attraverso diverse combinazioni di lavoro umano e attrezzature, tenendo conto della configurazione organizzativa e dell'ambiente in cui avviene l'intero processo. Una definizione che si addice anche a una radio a manovella, a un forno solare o a una tecnica di costruzione biologica. Sempre che questi servano a creare condizioni di vita migliori, accrescendo le potenzialità creative dei popoli, senza incrinare l'equilibrio dell'ecosistema. E, come riteneva Gandhi, evitando la creazione di forme di sfruttamento, a livello internazionale così come a livello locale.

A Maututine la filosofia gandhiana è applicata così: "Siamo partiti dalla compilazione di un database delle risorse locali per identificare possibili filiere produttive sostenibili. Da qui, poi, l'organizzazione di un orto sperimentale, al quale sarà presto affiancato un laboratorio di tecnologia appropriata - spiega Umberto Marin, presidente di Time for Africa -. Si tratta di una sorta di falegnameria, dotata unicamente di attrezzature di base, che, tra i primi lavori, sfornerà un essiccatore solare per ananas, papaia e mango, vale a dire la frutta che si coltiva in quella zona, ma che di solito è consumata direttamente dopo il raccolto, senza poterla conservare. L'essiccatore servirà proprio a questo e permetterà di produrre scorte e migliorare la dieta delle famiglie, anche fuori stagione".

E non è tutto. Altra idea di prossima realizzazione è un cantiere scuola dove gli apprendisti impareranno a utilizzare la terra cruda per smaltare le pareti delle capanne e a lavorare la paglia, con l'ausilio di semplici attrezzature, migliorando così le tecniche di costruzione dei nonni. Ciò consentirà alle comunità di dotarsi di case più resistenti, avviare un circuito di auto sviluppo e offrire ospitalità, con una stella in più, ai gruppi di turismo responsabile, che già oggi stanno apprezzando la vita dei villaggi.

Un processo di crescita che vuole restare fedele al principio chiave di "piccolo è bello", coniato dall'economista inglese Ernst Friedrich Schumacher, amministratore del Governo di Londra per le ex colonie di Oriente, che individuava nelle tecnologie appropriate l'alternativa al modello della società contemporanea, minacciata dalla diminuzione di scorte di combustibili fossili e materie prime, dall'inquinamento della natura con sostanze ignote e da un comportamento umano sulla via della degradazione.

L'alternativa non deve essere pensata solo per il Sud del mondo, al fine di scongiurare la replica degli effetti devastanti di un paradigma già sperimentato ad altre latitudini, ma può essere applicata anche alle società più pigre. "Dove - osserva Marinella Coreggia, giornalista impegnata da anni su temi socio ambientali - anche i più piccoli sforzi sono delegati ai motori, mentre nel mondo c'è chi spacca ancora pietre a mano". Come se il tempo di questi uomini fosse meno prezioso di quello a disposizione del nordamericano medio, che, oltretutto, portando sulle spalle una quota di fatica globale decisamente meno pesante, produce una quantità di anidride carbonica più grande di 333 volte rispetto a quella di un Etiope.

Il divario, secondo la Correggia, impone di intraprendere la strada della contrazione e convergenza, arrivando, grazie all'impiego di tecnologie appropriate, a una distribuzione della fatica e a una produzione di anidride procapite più eque. Un modo per riequilibrare quelle contraddizioni che, per esempio, fanno sì che la popolazione mondiale, tutta quanta, inizi ad accumulare il proprio debito ecologico annuo già il 16 ottobre. Nonostante il contadino delle aree rurali del Sud - che paga comunque il prezzo, spesso più salato, di un ambiente sovra sfruttato da altri - non abbia contribuito all'esaurimento delle risorse dell'ecosistema in egual misura a uno dei tanti lavoratori dell'emisfero ricco, impiegati nel terziario.

Un settore che Gianluigi Salvador, consigliere nel Movimento per la Decrescita Felice, definisce parassita "poiché succhia ricchezza a chi la produce". "Considerando che, in un'ora di lavoro, un consulente, un elettricista o qualsiasi fornitore di servizi consuma dieci milioni di chilocalorie di energia solare e sapendo che l'occupazione italiana e nordamericana è per il settanta, ottanta percento impiegata nel settore terziario, è evidente che per salvare il pianeta, e la specie umana, bisognerebbe tornare indietro anche nella struttura sociale" avverte l'ecologista, suggerendo di andare più adagio per adeguare il proprio ritmo di vita all'utilizzo di energie rinnovabili, come appunto quella del sole. Un cambiamento che impone non solo la sostituzione di tecnologie, ma una rivoluzione culturale che ci spinga a rimontare in sella alle biciclette e a coltivare il nostro orticello famigliare.

Daniela Bandelli

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