Thailandia: anche il re può sbagliare?

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In Thailandia, una monarchia guidata dell’ottantaquattrenne re Bhumibol Adulyadej, il gruppo di studiosi Nitirat propone la modifica della legge del 1976 sul reato di lesa maestà, che punisce con il carcere, dai tre ai quindici anni, chiunque diffami, insulti o minacci la famiglia reale. Dopo il golpe del 2006, con cui i militari cacciarono l’anti-monarchico primo ministro Thaksin Shinawatra, l’antiquata norma si è trasformata in un’arma per reprimere il dissenso. Sono più di 35 mila le firme valide che il Comitato promotore della campagna per la riforma dell’articolo 112 del Codice Penale (CCAA 112) ha raccolto e che proprio oggi, 29 maggio, saranno presentate al Parlamento. Unimondo ha intervistato un membro del Comitato, la professoressa Puangthong Pawakapan, docente del Dipartimento di Relazioni Internazionali all’Università Chulalongkorn di Bangkok.

Nelle scorse settimane, il reato di lesa maestà in Thailandia è salito all’onore delle cronache internazionali, in seguito alla morte di Ampon Tangnoppakul, meglio conosciuto come “zio SMS”, condannato a vent’anni di carcere per aver inviato quattro messaggi di testo ritenuti offensivi della persona della regina. Sappiamo che non si tratta di un caso isolato e che negli ultimi anni molti cittadini sono stati condannati e arrestati con questa accusa. Può farci un quadro sulla frequenza e le modalità con cui l’articolo 112 del codice penale viene applicato?

Il numero di casi di denuncia per lesa maestà è salito alle stelle dopo il colpo di stato del 2006. Siamo passati da una media inferiore a cinque casi all’anno nel periodo 1999-2004, a 126 nel 2007, 84 nel 2008 e 164 nel 2009. Dal 2006 al 2009, al tribunale di primo grado sono stati presentati ben 396 casi. Inoltre, la pena è diventata sempre più aspra, come nel caso dello “zio SMS”, ma anche di Thanthawutl Thaweewarodomku (condannato a 13 anni, nel 2011) e Darunee Charnchoengsilapakul (15 anni, 2011). Il rilascio su cauzione viene quasi sempre negato, a meno che non si tratti di persone in vista, come Chiranuch Premchaiporn, webmaster del sito di informazione Prachatai, e il leader delle “camicie gialle” [gruppo conservatore pro-monarchico], Sondhi Limthongkul. Negare il rilascio su cauzione vuol dire lanciare un messaggio chiaro alla popolazione: per chi si permette di fare commenti sulla famiglia reale non c’è né clemenza né pietà. Ecco perché lo “zio SMS” è stato lasciato morire in prigione. Un uso così pesante di una legge che limita la libertà di espressione rende vana la pretesa della Thailandia di essere un paese democratico.

In seguito a quali eventi è scaturita la decisione di costituire il Comitato della campagna di riforma di cui fa parte?

L’articolo 112 è stato ampiamente criticato da accademici e intellettuali, specialmente dopo il 2006, quando è diventata palese la sua strumentalizzazione per mettere a tacere le critiche all’establishment. L’opinione diffusa che la legge debba essere modificata ha trovato concretezza quando, l’anno scorso, il gruppo Nitirat, che significa “legge per il popolo”, ha presentato al pubblico il suo testo di riforma. Abbiamo deciso di dare vita a una campagna di sensibilizzazione e di raccolta firme e il 15 gennaio 2012 abbiamo lanciato il CCAA 112.

Il Comitato è legato a delle forze politiche?

Il CCAA 112 è un gruppo senza alcuna affiliazione istituzionale, in cui accademici, artisti, scrittori, poeti, studenti e attivisti collaborano affinché il Parlamento prenda in considerazione il testo di riforma di Nitirat.

Quali sono le vostre argomentazioni? Perché l’articolo 112 dovrebbe essere riformato?

Innanzitutto è il testo della legge in sé che non va bene. Permette a tutti i cittadini, senza restrizioni, di denunciare chiunque. Il risultato è che viene spesso usata per nuocere ai propri rivali politici. Inoltre, gli accusati finiscono per essere doppiamente puniti, non solo dalla giustizia, ma dalla società, da colleghi e dai vicini di casa. La pena prevista è sproporzionata rispetto alla gravità del reato e la sua aspra commisurazione ha rovinato la vita di molte famiglie. La legge non fa distinzione tra commenti ragionevoli e l’insulto o la minaccia alla corona, quando invece la monarchia è un’istituzione che secondo i principi democratici dovrebbe essere aperta al controllo pubblico. Infine, il contenuto dell’offesa oggetto di denuncia non può essere divulgato. Solo le sentenze possono essere rese pubbliche. Ma spesso ciò non avviene perché, per paura di violare la legge, i mass media si auto-censurano. In questo modo all’opinione pubblica è negato il diritto di sapere e vigilare sull’operato del sistema giudiziario.

In secondo luogo, c’è un problema di applicazione. Il 98% degli imputati finisce in carcere e la maggior parte si dichiara colpevole sperando nella grazia. La polizia e i procuratori si astengono dall’usare il proprio giudizio, per non rischiare l’accusa di infedeltà alla famiglia reale. Infine, i detenuti colpevoli di lesa maestà vengono spesso maltrattati dai compagni di cella.

Quali sono le innovazioni proposte dal gruppo Nitirat?

La nostra bozza di riforma vuole contrastare l’abuso dell’articolo 112 introducendo quattro principali cambiamenti: rendere la pena proporzionata alla gravità del crimine, stabilire chi può sporgere denuncia, anziché lasciare a tutti questa possibilità, distinguere la critica ragionevole e veritiera sull’operato delle istituzioni dalla minaccia alla monarchia e, infine, inserire le violazioni dell’articolo 112 nella categoria dell’insulto all’onore, anziché della minaccia alla sicurezza nazionale.

In che modo il Governo [guidato da Yingluck Shinawatraha, sorella del ex premier Thaksin] ostacola o supporta il vostro movimento?

Il Governo, il partito Pheu Thai e i leader dello United Front for Democracy Against Dictatorship (UDD) hanno preso le distanze dal movimento. Alcuni ci hanno anche attaccato verbalmente. Da loro non riceviamo alcun tipo di supporto, che invece ci viene manifestato nelle zone rurali dalle “camicie rosse” [protagonisti della rivolta del 2010 e in parte sostenitori di Thaksin]. Hanno partecipato ai forum che abbiamo organizzato un po’ in tutto il paese e firmato la nostra petizione.

Quali forze parlamentari vi appoggiano?

Nessuna.

Nel concreto, in che modo l’articolo 112 influisce sulla vita quotidiana dei cittadini thailandesi?

La gente vive da decenni in un clima di propaganda monarchica, con leggi che proibiscono di parlare e mezzi di informazione che non fanno il proprio lavoro. Del dibattito internazionale sul ruolo del re in Thailandia e sulla concezione democratica della monarchia la gente della strada non sa quasi nulla. Con la riforma di questa legge, ma anche delle istituzioni, i cittadini otterranno più democrazia, uno stato di diritto e il rispetto per i diritti umani.

Il Comitato afferma che la riforma dell’articolo 112 è necessaria per garantire nel lungo periodo la sicurezza della monarchia. Perché?

La storia ci insegna che solo le istituzioni che si adattano all’evolversi dei valori e dei principi sociali sopravvivono. Le monarchie in Giappone e in Regno Unito sono stabili e sicure perché hanno saputo farlo. La democrazia è la norma e comporta un cammino dal quale la società thailandese non potrà sottrarsi, nonostante alcuni gruppi elitari tentino di ostacolarlo.

Allora perché re Bhumibol Adulyadej non modifica la legge, sebbene nel 2005 abbia riconosciuto che anche il re può sbagliare?

È esattamente ciò che la gente si chiede.

Quali successi avete ottenuto finora?

Abbiamo raccolto molte più firme delle 10 mila richieste per la petizione. Sono quasi 50 mila i nomi in lista, di cui 35 mila sono stati validati. Organizzando incontri pubblici nelle varie province, abbiamo fatto conoscere ai cittadini i loro diritti e allargato la discussione sulla riforma. Risultati che solo qualche anno fa non immaginavamo possibili.

C’è qualcosa che avreste voluto fare diversamente?

Abbiamo fatto quel che abbiamo potuto, con forti limitazioni di tempo e risorse. Tutti noi abbiamo un impiego full-time e i fondi per la campagna sono donazioni. Considerando l’ostruzionismo e gli attacchi subiti da politici, militari, accademici conservatori e media, possiamo ritenerci più che soddisfatti per aver raccolto un numero di firme così alto. Ciò dimostra che la consapevolezza sull’importanza di riformare l’articolo 112 si sta diffondendo e che la gente comincia a concepire la monarchia in modo diverso.

Daniela Bandelli

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