Tema di italiano: colonialismo, neocolonialismo, immigrazione

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Tra temi della prova scritta di italiano di ieri figurava il seguente: "La fine del colonialismo moderno e l'avvento del neocolonialismo tra le cause del fenomeno dell'immigrazione nei Paesi europei". Il quotidiano trentino L'Adige ha chiesto al nostro direttore, Fabio Pipinato un "saggio breve" sul tema che riportiamo.

La colonizzazione europea ha avuto la sua massima espansione tra il XVI ed il XX secolo ed avvenne più con la forza che con la persuasione. Soprattutto la Spagna, il Portogallo, l'Inghilterra, la Francia, il Belgio ma anche l'Italia e la Germania ne furono protagonisti. L'Olanda sembrò più interessata a trafficare che ad occupare. L'anticolonialismo, infatti, non vide in Europa solo intellettuali ma anche molti imprenditori poco propensi ad investire per "civilizzare o cristianizzare" altrui territori come auspicato dalla Bolla papale di Alessandro VI.

L'imperialismo coloniale del Congresso di Berlino, ultima fase del colonialismo moderno, presentò un vero e proprio progetto di civiltà. Oltre alle opportunità economiche come lo sbocco di investimenti di capitali, il rafforzamento del commercio internazionale, il saccheggio delle risorse naturali si sancì una sorta di superiorità tra esseri umani. Detta teoria razziale divise il mondo tra coloro che hanno goduto della recente rivoluzione industriale e coloro che ancora vivevano allo "stato naturale".

Nell'occupare i territori oltremare si trasferirono non solo masse di coloni, soldati, contadini per lo più in cerca di fortuna ma anche conoscenze per l'auspicata opera di civilizzazione. Si allungò quindi lo Stivale bonificando lagune, progettando strade, edificando scuole, ospedali, fabbriche, biblioteche ed imponendo un proprio sistema amministrativo. Tutt'oggi i bagaza kenioti o capo villaggio vivono a fianco dei major (sindaci) di modello inglese.

L'esibizione macia, per usare un termine caro all'allora contemporaneo Sigmund Freud, rese sistematico il divario tra nord e sud e rafforzò sia il razzismo che il paternalismo che ancor s'intravede tra le pieghe di alcune forme di cooperazione internazionale o missionaria. Vennero spazzate via molte culture indigene in nome della presunta supremazia che, da lì a poco, si ritorse sull'Europa stessa costituendo le premesse per le due guerre mondiali e la Shoah.

L'ordine imposto suscitò un fascino non indifferente sulla borghesia e sulla classe amministrativa locale di alcune ex colonie. Ancor oggi non sono pochi gli anziani, in Africa, che, nonostante l'inaudita violenza perpetrata, ricordano con favore i periodi d'intenso lavoro realizzati all'epoca. I periodi successivi di abbandono, dispotismo e dilagata corruzione hanno talvolta aumentato in certuni la nostalgia verso il sistema coloniale. Un sistema che ricevette il primo ed ultimo colpo fatale negli Stati Uniti. Paradossalmente dagli stessi ex coloni che hanno "civilizzato" i territori indiani. Nel 1776 si ebbe l'unanime dichiarazione d'indipendenza delle tredici colonie e nella primavera del 1945 la dichiarazione universale che derivò dalla dottrina Truman e che sancì, a San Francisco, l'imperativo "Mai Più". La Carta delle Nazioni Unite prefigurò un mondo nuovo intento anche a liberare dal "giogo straniero" i "territori non autonomi".

L'Assemblea dell'ONU fu orientata, nei decenni successivi, a promuovere la decolonizzazione e l'autodeterminazione dei popoli pur salvaguardando "l'integrità territoriale". Un percorso che ha interessato a proposito anche il nostro territorio regionale. Si trattò, spesso, di una decolonizzazione più formale che sostanziale in quanto molte potenze coloniali si sono garantite la persecuzione delle proprie politiche economiche anziché la promozione di economie locali. Ancor oggi alcuni prodotti come il tè ed il caffè sono nominati nelle borse internazionali o riviste finanziarie come prodotti coloniali dimostrando come non sia venuto meno il "patto coloniale" su modello centro - periferia dei secoli scorsi. Durante la Guerra fredda, ma non solo, le ex potenze coloniali hanno sostenuto governi ed opposizioni dei sud del mondo creando forti instabilità politiche ed economiche. L'equilibrio atomico si sfogò nei sud con guerre da milioni di morti ed un uso irresponsabile del diritto di veto in sede di Consiglio di Sicurezza.

L'export di armi dal Primo verso il Terzo mondo non ha conosciuto periodi di stallo contrariamente agli aiuti allo sviluppo. Nonostante i rapporti Brandt ed autorevoli agenzie ONU abbiano sostenuto quanto l'instabilità provochi emigrazione non s'è vista volontà reale, da parte delle ex colonie, di percorrere un nuovo ordine internazionale nonviolento. Laddove s'è cercato di fare un passaggio formale di competenze acquisite tra coloni e colonizzati, come raccomandato dal capitolo XI della Carta dell'ONU, non sono stati rispettati i tempi. Le elite locali non erano in grado di subentrare repentinamente nella burocrazia, nell'esercito, nella classe dirigente del modello statuale imposto.

Al crollo delle economie in molti paesi impoveriti ha conseguito dapprima la "fuga di cervelli" e poi della gente incapace di trovare le basi per crearsi un futuro in patria. Le Istituzioni di Bretton Woods (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale), con sede a Washington, dovevano aiutare questo processo ma sono state spesso controproducenti, come nel caso del debito estero e comunque impotenti verso l'attuale divisione internazionale del lavoro.

Le multinazionali, infatti, sono sempre più capaci di operare su scala globale e sono sempre più influenti sui livelli di attività economica dei paesi che le ospitano. Stanno acquistando non solo i centri storici delle città europee ormai ovunque omologati ma le stesse capitali degli allora paesi colonizzati rafforzando localmente il divario Nord-Sud tra una borghesia sempre più ricca e classi popolari costrette ad emigrare per sperare.

L'Italia è al secondo posto nel mondo tra i paesi che attirano il maggior numero di immigrati accogliendo circa trecento mila persone, il dieci per cento del flusso annuale mondiale. In proporzione si stanno superando i flussi di accoglienza degli Stati Uniti. La metà dei tre milioni d'immigrati del pianeta si dirigono verso l'Europa per sostenere, anche nel nostro paese, una demografia che va male e influisce negativamente sul mercato. Visto che soprattutto di questo s'è parlato sin d'ora.

 

Fabio Pipinato

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