Sveva Haertter: piloti degli obiettori di coscienza in Israele

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Alcuni piloti della riserva dell'aviazione israeliana stanno progettando di annunciare pubblicamente il rifiuto di partecipare ad operazioni per l'uccisione di ricercati palestinesi.
E' quanto ha affermato ieri il sito Internet del quotidiano "Haaretz", citando esponenti dei refuseniks. La difficilissima discussione e' in corso da mesi. Pare che l'idea di aderire ad uno dei gruppi esistenti (ad esempio "Omez Le Sarev" - Il coraggio di rifiutare - creato 18 mesi fa da 50
riservisti firmatari di una lettera che ormai ha raccolto oltre 600
adesioni) sia stata per ora abbandonata, preferendo creare un gruppo a se'.
Ora i promotori stanno raccogliendo firme, e attendono "il momento buono" per rendere pubblica la presa di posizione.
I gruppi di militari isreaeliani legati al rifiuto ritengono che un simile gesto potrebbe scuotere l'opinione pubblica piu' di quanto abbia fatto ad oggi il rifiuto "ordinario". E' infatti un fatto dirompente, se si considera la responsabilita' nella rottura iniziale della tregua delle esecuzioni mirate volute a tutti i costi da Sharon e il peso di questa "strategia" nella tensione dentro i territori occupati, al punto che perfino il
segretario di stato Usa Colin Powell in questi giorni ripete al governo israeliano che l'amministrazione Usa condanna il terrorismo palestinese ma non e' d'accordo con gli omicidi selettivi di leader palestinesi.
Gia' nella guerra del Libano si erano verificati episodi di piloti che rifiutavano di bombardare particolari obiettivi ed e' noto il caso di almeno un pilota che nel corso della seconda Intifada si e' rifiutato di colpire un edificio per la presenza di civili, ma una dichiarazione di un gruppo organizzato di piloti e' una novita' straordinaria, capace di riavviare il dibattito sull'occupazione dei territori palestinesi e sull'operato dell'esercito israeliano.
"E' uno sviluppo interessante perche' la nostra aviazione non solo ha le armi piu' micidiali, ma e' anche la parte piu' elitaria, piu' disciplinata dell'esercito - ci dice Peretz Kidron di "Yesh Gvul" (C'e' un limite) -. Significherebbe che la nostra iniziativa, il dibattito sul rifiuto, ha smosso davvero qualcosa nelle forze armate. Il rifiuto militare selettivo limitato a specifiche azioni, anche se non riferito al servizio nei territori occupati, e' un segnale chiaro: queste persone denunciano qual e' il limite che non intendono oltrepassare, la loro personale linea rossa".
*
Solo giovedi' e' ripreso il processo ai giovani che rifiutano di servire nell'esercito di occupazione. Il pubblico ministero, capitano Yaron Kosteliz, interrogando Haggai Matar e
Matan Kaminer, ha premesso che "coscienza" e' solo una bella parola da usare come pretesto per fare quello che si vuole.
"Vedo azioni inumane compiute dall'esercito israeliano. Dato che questi sono atti immorali e a mio avviso illegali, in base alla mia coscienza, nelle attuali condizioni rifiuto di far parte dell'esercito" ha detto Haggai. Quando il pubblico ministero ha affermato che cio' che Haggai aveva definito illegale era stato legale per l'Alta corte di giustizia, il giovane ha fatto notare che alcune delle decisioni prese dalla Corte sono considerate
illegali dalle leggi internazionali. Al tentativo di dimostrare che il suo rifiuto e' una scelta politica e non di coscienza, Haggai ha replicato che e' impossibile separare le due cose: "La coscienza non e' la piattaforma di un partito politico... - ha risposto - Cio' che la coscienza impone e' molto chiaro se si tratta di rifiutare determinate cose, lo e' invece di meno
quando si tratta dell'obbligo di compiere determinate azioni".
Matan Kaminer cosi' ha risposto alle domande del giudice: "Solo condizioni estreme renderebbero legittimo l'uso della violenza e tali condizioni estreme al momento non sono date. Se lasciassimo completamente i territori occupati, permettessimo la costituzione di uno stato palestinese
indipendente in grado di vivere e se vivessimo in pace ed uguaglianza accanto a esso collaborando a livello economico e culturale, la situazione in questa regione sarebbe drasticamente diversa. Non ci sarebbero attentati suicidi - ha continuato -, ne' violenza da parte di palestinesi contro
cittadini israeliani. La leva obbligatoria sarebbe irrilevante. A quel punto, se fosse comunque necessario un esercito, sarei disposto a farne parte". Ha poi spiegato che le sue ragioni per l'obiezione di coscienza si basano su una concezione umanistica e democratica e sono quindi molto diverse da quelle fondate su motivazioni religiose. "Io amo questo paese e
la gente che ci vive - ha concluso - voglio restarci e cambiarlo perche' diventi un posto migliore in cui vivere. Il mio rifiuto fa parte di questo cambiamento".
Alla domanda sull'obbligo di obbedire alle leggi di uno stato democratico, sia Haggai che Matan hanno risposto che Israele "e' uno stato che esercita il proprio dominio su 3,5 milioni di persone prive del diritto al voto, non puo' affermare che le proprie decisioni sono prese in modo democratico. Il
Sud Africa dell'apartheid non era uno stato democratico".
Nella prossima udienza, il 20 ottobre, verranno sentiti Shimri Tzameret, Adam Maor e Noam Bahat.
*
Oltre a loro ed a Yoni Ben-Artzi sono in carcere Salman Salame, obiettore di coscienza druso in attesa di essere convocato dalla corte marziale, i riservisti Asaf Albertstein, Asaf Berewald e Nathanel Elzas, che per il rifiuto di servire nei territori occupati sono stati condannati rispettivamente a 21, 21 e 28 giorni di carcere militare. E adesso stanno per arrivare anche i piloti dell'aviazione.

di Sveva Haertter, fortemente impegnata per la pace, la giustizia e il dialogo, fa parte della rete "Ebrei contro l'occupazione"

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