Sudan: governo sotto accusa di pulizia etnica

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L'accordo di pace siglato in Kenia tra ribelli e il governo del Sudan è messo a dura prova e non è che un punto di compromesso accettato da ambedue le parti. Il governo centrale nei prossimi sei anni darà una forte autonomia al Sud, al termine di questi anni le popolazioni potranno scegliere con un referendum se staccarsi o meno dal Nord. Nel frattempo i proventi petroliferi saranno divisi al 50%, anche se i giaci-menti sono quasi tutti al sud. La legge islamica continuerà ad essere in vigore soltanto al Nord del paese, ad eccezione della capitale, dove i cristiani non saranno tenuti ad osservarla. In più le cariche sia politiche che amministrative ver-ranno divise equamente, come pure il comando dell'esercito. Il conflitto in Darfur, tra governo e ribelli (SLA e MJE) ha già ucciso più di 10mila persone dal febbraio del 2003. Nel 2003 il gruppo ribelle del Sudan Liberation Army ha imbracciato le armi per combattere la politica, a loro dire, discriminatoria di Karthoum e per difendersi dalle milizie arabi Janjaweed. Ventiquattro persone sono state uccise lunedì in un mercato nel Darfur Occidentale, nella zona di Tirbeba. Il Movimento per la giustizia e l'uguaglianza (MJE) ha accusato l'aviazione del raid contro civili. Il cessate del fuoco, siglato l'8 aprile a N'djamene, viene sistematicamente, violato da tutte le fazioni in lotta.

Un conflitto che non ha connotazioni religiose in quanto la stragrande maggioranza del paese e musulmana. E' quindi un coflitto di carattere politico, anche con radici etniche. Il Darfur è diviso in gruppi nomadi di ceppo e lingua araba e sedentari africani, i Fur, Masalit e Zaghawat. Asma Jehangir, inviato Onu nella zona, ha criticato la fermezza non cooperativa di Karthoum che nega di armare le milizie arabe e che smentisce ogni accusa di pulizia etnica. Sono circa un milione gli sfollati a rischio, 150 mila sono i rifugiati in Chad. Secondo le Nazioni Unite almeno 700mila persone non avranno i mezzi per sopravvivere nei prossimi mesi. "Si tratta della più grave crisi umanitaria del mondo", ha ribadito a più riprese Jan Egeland, coordinatore degli Affari umanitari delle Nazioni Unite. "L'aiuto non è sufficiente. È necessaria una soluzione politica: la pulizia etnica condotta dal governo sudanese non deve essere tollerata". A dirlo è Kenneth Roth direttore di Human Rights Watch in occasione della conferenza dei Paesi donatori di Ginevra, dove sono stati richiesti dall'ONU 286 milioni di dollari (gli Usa ne hanno promessi 188) per l'emergenza nella martoriata regione del Darfur.

All'esercito di liberazione del Sudan che si scontra con l'esercito governativo, si sono aggiunte le milizie arabe conosciute come Janjawid ("fucilieri a cavallo"), che hanno iniziato ad attaccare i villaggi, uccidendo, stuprando e sequestrando persone, distruggendo le abitazioni ed altre proprietà - comprese le fonti idriche - e saccheggiando il bestiame. Il tutto con l'attivo sostegno dell'esercito sudanese, i cui bombardamenti aerei hanno spesso preceduto di poche ore l'arrivo dei Janjawid, lasciando supporre che si trattasse di azioni coordinate. I legami tra il governo sudanese e i Janjawid sono evidenti, a tal punto che ultimamente i miliziani indossano uniformi fornite dall'esercito. Secondo un rapporto dell'Ufficio dell'Alto commissario per i diritti umani, nel Darfur esiste una sistematica violazione dei diritti umani perpetrate dal governo del Sudan e dalle milizie alleate. Amnesty international chiede alle parti di cessare il fuoco e alla comunità internazionale di favorire il dispiegamento in Sudan di osservatori internazionali sui diritti umani.[AT]

Altre fonti: War News, Human Right Watch

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