Sud Sudan… una guerra infinita

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Il Sud Sudan, dopo la battaglia di inizio luglio a Juba, terminata in tre giorni con oltre mille morti tra civili, militari dei due eserciti nazionali, ed anche di alcuni funzionari dell'ONU, e la conseguente fuga del vicepresidente Riek Machar, che è tornato nel suo esilio di Khartoum, è entrato in una fase forse più pericolosa di prima del tentativo di riconciliazione. Ora l'esercito di Machar è da considerarsi disperso, alla macchia, e sta seminando terrore, morti, stupri, saccheggi in varie parti del Paese.

La fuga di profughi da questa persecuzione è diretta verso l'Uganda, l'Etiopia ed il Sudan ed è diventata un evento quotidiano, portando povertà a povertà: è inimmaginabile cosa possa essere la vita di questi profughi in un paese come l'Etiopia, dove c'è già (e lo sappiamo dagli arrivi in Italia) una fuga loro verso l'Europa a causa della situazione locale di guerra fratricida e fame, ma anche in Uganda, con un dittatore amico di Salva Kiir, o in Sudan, con un dittatore già condannato per il genocidio dei sudanesi del Darfur, ed amico di Machar... Le notizie che giungono però sono sempre meno e sempre più “controllate” dai servizi di Salva Kiir: dalla metà del 2013 è fortemente aumentata la pressione sui giornalisti, anche arrestati e torturati o lasciati morti perle strade o nei cimiteri. Fortunatamente per noi, ci sono molti amici e missionari che ci tengono aggiornati e lasciano capire la difficoltà della situazione. Il Sud Sudan è in mano ai “signori della guerra”, di cui Kiir e Machar sono validi esponenti.

L'associazione “SENTRY” ha predisposto un report, commissionato dalla stessa, da George Clooney e da altre associazioni americane, in cui si accusano molti dirigenti, funzionari, generali e ministri sud-sudanesi di essersi arricchiti alle spalle dello stato in questi periodi di guerra e di malgoverno. Questo è uno dei tanti motivi per cui non si potrà forse mai trovare una soluzione: la sete di denaro di questi “signori della guerra” è infinito e pare che non accettino nemmeno la possibilità di una “suddivisione pacifica” dei proventi leciti o meno del loro potere… Al momento Machar si trova per cure a Città del Capo, ma ha già confermato di voler tornare in Sud Sudan al più presto per portare a termine la sua “guerra di liberazione”, magari attraverso il ripristino degli accordi che lo hanno visto rientrare ad aprile a Juba, giusto in tempo per riprendere le violenze con l'esercito “regolare” di Salva Kiir…

Un altro problema, che si va ad accavallare agli altri, con effetti disastrosi, è che anche all'interno delle singole etnie, ormai si sono create correnti favorevoli o meno ai “capi” attuali: non tutti i Dinka sono d'accordo su e con Salva Kiir, come non tutti i Nuer sono vicini a Machar… Questa situazione va a peggiorare il tutto, unitamente al problema, creato dai due maggiori contendenti, che tutte le altre etnie, che avrebbero dovuto partecipare al “governo transitorio”, sono state bellamente ignorate ed ora si stanno inserendo nella lotta per la suddivisione del potere, aiutate anche dalla belligeranza dei due contendenti maggiori. E' bene ricordare, a questo punto che in Sud Sudan esistono ben 64 etnie diverse!

“Mi riferiscono, ci dice una delle nostre fonti, che il Sud Sudan conta oltre 600 “generali”, quasi come in Russia e negli USA, che operano in piccole zone del territorio, e che alla fine, comandano piccole frazioni regolari o dell'opposizione ma molti hanno delle piccole milizie private ed etniche”. Questa presenza, che si muove in base ad interessi personali e temporanei, potrebbe provocare la trasformazione della guerra civile in uno stato di anarchia totale. Normalmente la validità degli accordi presi da questi “governanti” è molto fluttuante: se si deve fare qualcosa di buono, il periodo minimo di realizzazione è di quattro/sei mesi, se si deve fare qualche atto di guerra, allora il tempo necessario è sempre poco!

La politica si sta muovendo, in assenza di Machar, per un futuro in cui questi viene esautorato definitivamente, come sarebbe oggi, avendo lasciato spazio ad un amico dello stesso, ma che, avendo suoi interessi personali, sembrerebbe più affidabile, Taban Deng Gai. Questi dovrebbe essere il referente con gli Stati Uniti. Contemporaneamente però il governo fa sapere che qualsiasi forza di interposizione internazionale, come l'UNMISS che si trova a Juba dal 2011, o l'RPF (Forza di Protezione Regionale), che dovrebbe essere costituita di 4.000 uomini, sarebbero considerate una interferenza estera, ed a luglio ha già ucciso e ferito diversi militari stranieri e “caschi blu” dell'ONU.

“La guerra è uno sporco business. Inevitabilmente degrada tutti noi: fa diminuire la nostra umanità così come disumanizza i nostri nemici e avversari. Tutte le parti si credono e sentono fortemente vittima di ingiustizie. Ogni parte nel conflitto crede che il loro avversario è un aggressore che non vuole pentirsi. Questo stato di cose che si vive a tutti i livelli è causato dal tribalismo. È ciò che lega indissolubilmente una persona con la sua comunità etnica e sviluppa ancora di più un solco profondo tra “noi” e “loro”. Ci ha portato una tragica calamità che ci stiamo infliggendo che è una punizione collettiva”. Questo quanto scrive un amico giornalista locale.

In questa situazione dobbiamo anche rilevare la buona volontà dei Missionari e dei Religiosi che vivono in Sud Sudan. E' stato inaugurato, ad appena due anni dal progetto iniziale, un grande centro pastorale, a Kit, 12 km da Juba, per convegni, corsi e studi interreligiosi. Come ci dice padre Daniele Moschetti, comboniano, presidente della “Ass. Religiosi Sud Sudan”: “Per offrire alla gente comune ed al personale presente in Sud Sudan programmi di integrazione delle etnie, riconciliazione, formazione umana e spirituale, costruzione della pace e guarigione dai traumi delle guerre vissute fino ad ora. Sarà un segno di speranza e un supporto alla ricerca insieme di una pace duratura per la gente del Sud Sudan”.

Paolo Merlo

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