Siria. Districare la matassa

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A prima vista sembrerebbe che il conflitto sia tutto all’interno dei confini siriani ove da una parte v’è un despota che non vuole andarsene e dall’altra la “società civile” che reclama libertà e democrazia. Il primo spara sui secondi. I secondi, ormai stanchi della nonviolenza si comportano sempre più come i primi. Ma la realtà, presentata con modalità drammaticamente semplicistiche, è ben più complessa.

Lega araba ed Occidente son d’accordo nel far cadere Bashar al-Assad perché si sta comportando in modo criminale contro il proprio popolo con migliaia di morti ammazzati. Anche i rapporti di Amnesty International non lasciano dubbi e confermano che Damasco è stata intollerante verso ogni tipo di dissenso. Coloro che criticavano il governo, compresi i difensori dei diritti umani, sono incorsi in arresti e carcerazioni al termine di processi iniqui. Inoltre sono stati vietati i viaggi all’estero nonostante siano professori riconosciuti da ogni dove. È stata negata la registrazione legale sia alle organizzazioni non governative di tutela dei diritti umani e sia ai partiti politici d’opposizione.

Ma semplificare il tutto con la condanna del capro espiatorio Bashar al-Assad servirebbe a poco e lascerebbe poi aperte tutte le contraddizioni. Vediamone alcune.

Il primo scontro è di carattere religioso all’interno di quel pluriverso che è l’Islam. All’ingrosso potremmo dire tra sciiti e sunniti. L’Arabia Saudita non vede bene che il vicino regime iraniano cresca la sua influenza nell’aerea ed essendo proprio Damasco il maggior sostenitore degli ayatollah è bene, per Riad (capitale dell’Arabia), cambiarne la guida.

In ogni conflitto violento c’è chi trae il massimo profitto politico. In questo caso sia i “Fratelli mussulmani” che i salafiti, come accaduto in altri luoghi attraversati dalla “primavera araba”, saranno con ogni probabilità i maggiori beneficiari ad armi deposte. Quando i giovani saranno stremati, i morti ammazzati, i gruppi divisi e le bandiere deposte. Allora e solo allora saranno le strutture piramidali organizzate più su base religiosa che laica a vincere le elezioni “democratiche” su una miriade di liste spontanee e partiti improvvisati.

Il secondo scontro è transnazionale. Obama non può permettersi di seguire Netanyahu sulla strada della violenza frontale contro l’Iran che sta perseguendo l’atomica non solo a scopo civile. Non lo può fare sia perché siamo nel pre elettorale e sia perché vi sono già molti teatri aperti da Bush sin d’ora mal gestiti. Non resta che tentare d’indebolire il principale alleato dell’Iran fornendo armi all’opposizione. Insomma, guerreggiare altrove per non aprire scenari senza fine ove si vorrebbe...ma non si può. Eppure, inutile nasconderlo, gli ayatollah vogliono l’atomica e l’unica via d’uscita, come indicato dal prof. Galtung, è il “disarmo bilaterale” sia di Israele che dell’Iran sotto l’egida dell’Onu. Netanyahu ne dovrebbe prender atto anziché tentar di coinvolgere l’esercito più potente del mondo.

Il terzo scontro è commerciale. Sia Damasco che Teheran guardano ormai spudoratamente solo a Pechino e non più all’occidente. Ed anche e soprattutto da questo che si può comprendere il veto di Russia e Cina al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite al fine frenare un atto di condanna nei confronti di Damasco. Prima gli affari e pazienza se i soldati siriani stiano sparando ad altezza uomo sulla folla disarmata.

Il quarto scontro è armato. I ribelli, stremati da mesi di nonviolenza attiva ed inascoltata, stanno ricorrendo alle armi. In enormi quantitativi che arrivano da ogni dove. E si stanno macchiando delle stesse colpe dei governativi. Stanno sorgendo in tutto il paese gruppi armati, spalleggiati e finanziati da sauditi, Qatar, Regno Unito e Stati Uniti che fanno presagire uno scenario simile alla Libia.

Con gli stessi paradossi visti a Tripoli. Tra i ribelli, infatti, troviamo il Gruppo islamico combattente in Libia (Lifg), oggi alla testa del nuovo esercito di Tripoli. Detto gruppo, dal 2007, secondo Alberto Barlocci, è fuso con Al Qaeda. Il Lifg figura nelle liste nere dei terroristi dell’Onu, del Dipartimento di stato Usa ed interni britannico. Ma non solo questo il punto. Secondo il Patriarca Melchita greco cattolico Sua Beatitudine Gregorios III° nella regione regna il caos in quanto “girano talmente tante armi che gruppi sconsiderati possono tranquillamente fornirsene e scatenare scontri e provocare vittime”.

Come uscirne? Forse il governo italiano, troppo concentrato sulla chirurgia dei tagli e poco sulla medicina preventiva, potrebbe giocarsi la carta Andrea Riccardi, ministro per la cooperazione internazionale senza deleghe e senza portafoglio. Potrebbe tentare un “Mozambico bis” aprendo uno spiraglio di dialogo in una sede diplomatica. L’Italia, supportata dall’Europa, potrebbe candidarsi a tessere relazioni e buoni uffici rispondendo ad una domanda che viene dal medi Oriente. Qui si che c’è tutto da guadagnarci.

Fabio Pipinato

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