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Siria, donne schiave del Daesh imprigionate con le famiglie dei carnefici
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Sto: Unsplash.com
Quattrocento donne turkmene e irachene detenute al confine con la Turchia, con le mogli dei jihadisti che le hanno sequestrate e ancora le perseguitano. L’accusa di al-Salhi, capo della Commissione diritti umani di Baghdad.
Prigioniere e schiave degli eredi del Califfo
Prima schiave del Daesh, l’ex Isis, e ora vittime imprigionate con le famiglie dei carnefici. È la denuncia da Arshad al-Salhi, capo della commissione per i diritti umani nel Parlamento iracheno e leader del Fronte Turkmeno, rilanciata da Avvenire. L’inchiesta racconta e documenta che tra il 2014 e il 2017 il Daesh ha sequestrato, schiavizzato e venduto almeno 400 donne di origine turkmena e irachena, vittime due volte oggi, finite a condividere la prigionia con le famiglie degli jihadisti di cui sono vittime e di cui sono costrette a rimanere schiave.
Turchia dalla galera facile
Molte delle povere donne due volte prigioniere, sono ora detenute ad Afrin, al confine turco-siriano. Erano scappate dai campi di detenzione del Daesh in Siria e sono state fermate e arrestate dalle autorità turche. I campi di detenzione collettiva per famiglie di jihadisti, figli mogli e servitù schiava, sono nelle città di Hasaka, Raqqa, al-Sad, Abu Khashab, Abu Haman e al-Hol. Le condizioni di vita all’interno di queste realtà, come più volte denunciato dalle Nazioni Unite, sono estremamente precarie, sia sotto il profilo medico-sanitario, che sotto il profilo della sicurezza. L’80% degli abitanti di queste prigioni a cielo aperto sono bambini e donne, e tra le tende, vittime e carnefici si confondono.
Nel campo di al-Hol 60 mila persone
Nel campo di al-Hol, il più popolato, vivono circa 60mila persone. Jens Laerke, dell’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari, ha recentemente invitato le autorità che controllano la sicurezza nel campo «a garantire la sicurezza dei residenti e degli operatori umanitari». Le donne affiliate al sedicente Stato islamico, infatti, nonostante la sconfitta di quest’ultimo, esercitano il comando e usano violenza contro le altre e le costringono a obbedire ai loro ordini. E le autorità turche che gestiscono quei campi di prigionia, lasciano fare.
Donne jihadiste cultura dei mariti
Il documento firmato da Arshad è frutto di un lavoro di indagine dei servizi segreti iracheni, presentato alla Commissione parlamentare per i diritti umani e all’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite. Una volta raccolte queste informazioni, è stata presentata una richiesta formale al ministero degli Esteri di Ankara, affinché si faccia carico della ricerca di queste donne all’interno delle zone siriane su cui ha il controllo e di prendere subito i necessari provvedimenti.
Donne schiave e tanti bambini
Il fatto che circa la metà degli abitanti di questi campi siano bambini preoccupa la comunità internazionale e le associazioni che si occupano dei diritti umani. Noto a tutti che, denuncia l’Onu, «in quelle condizioni estremamente ostili, bambine e bambini sono particolarmente vulnerabili». La tragedia per le bimbe sono gli stupri, anche quelli legalizzati e mascherati dai cosiddetti matrimoni precoci, mentre per i bambini il rischio continua a essere quello dell’indottrinamento e dell’arruolamento tra le nuove leve dei combattenti dell’autoproclamato Califfato, che non può ancora considerarsi completamente sconfitto.
Bambini stranieri cresciuti da terroristi
Vladimir Voronkov, responsabile dell’ «Un counter-terrorism», ha denunciato la presenza di circa 27.500 bambini stranieri nei campi di detenzione, di cui circa 8.000 provenienti da ben 60 diversi Paesi stranieri. Probabilmente anche qualche figlio di Jihadista italiano ucciso. «Il 90% di loro ha meno di 12 anni e si trova in una condizione di pericolo». L’appello da più parti è che ogni Paese si faccia carico del rimpatrio dei suoi connazionali per scongiurare l’insorgere di un nuovo focolaio di terroristi.