Sicurezza: Napolitano approva con 'preoccupazione', l'Ue tiene sotto esame l'Italia

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Esprimendo "perplessità e preoccupazioni" in una lettera inviata al presidente del Consiglio e ai ministri dell’Interno e della Giustizia e per conoscenza anche ai presidenti di Camera e Senato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha promulgato ieri la legge sulle "Disposizioni in materia di pubblica sicurezza" (il cosiddetto "pacchetto sicurezza") approvata con voto di fiducia al Governo scorso 2 luglio dal Senato. "Suscita peraltro perplessità e preoccupazioni - specifica il comunicato ufficiale del Quirinale - l’insieme del provvedimento che, ampliatosi in modo rilevante nel corso dell’iter parlamentare, risulta ad un attento esame contenere numerose norme tra loro eterogenee, non poche delle quali prive dei necessari requisiti di organicità e sistematicità; in particolare si rileva la presenza nel testo di specifiche disposizioni di dubbia coerenza con i principi generali dell’ordinamento e del sistema penale vigente".

Nei giorni scorsi diverse associazioni avevano invitato il Presidente della Repubblica a non firmare la legge e il 'Centro di ricerca per la pace di Viterbo' aveva invitato tutti i deputati e senatori dell'opposizione democratica a scrivere al Presidente della Repubblica chiedendogli - prima di promulgare la legge - con messaggio motivato alle Camere chiederne una nuova deliberazione in quanto recante norme palesemente incostituzionali e violatrici di fondamentali diritti umani affinchè esso sia modificato conformemente al dettato della Costituzione della Repubblica Italiana, alle norme di diritto internazionale recepite nel nostro ordinamento e ai principi della civiltà giuridica".

Numerose associazioni trentine invitano a continuare ad aderire all'appello online "Pacchetto (in)sicurezza? Noi disobbediamo!" che chiede ai referenti politici "sostanziali modifiche alla legge appena approvata", di "non permettere il sorgere di alcuna associazione volontaria per la sicurezza" e "favorire le iniziative di relazione e integrazione"; ai pubblici ufficiali di "praticare la disobbedienza civile non denunciando lo straniero irregolare" e alla cittadinanza di "sostenere tutte le iniziative di accoglienza, solidarietà e tutela dei diritti fondamentali di ogni persona".

Intanto ieri la Commissione Europea ha annunciato che sta continuando ad osservare l’Italia sui respingimenti nel Mediterraneo. "Bisogna che l'Italia rispetti non solo le norme europee ma quelle internazionali, in particolare, non ci può essere la possibilità di rimpatrio in quei Paesi dove non ci sono garanzie di protezione consolare" - ha detto ieri il Commissario Ue per Giustizia, Libertà e Sicurezza, Jacques Barrot. "Abbiamo interrogato il governo italiano - ha aggiunto Barrot - sulle misure intraprese in materia di immigrazione irregolare. Stiamo aspettando ed esaminiamo tutto ciò che l'Italia fa e intende fare. Al momento opportuno giudicheremo".

La linea è stata ribadita anche da Michele Cercone, portavoce del commissario Barrot. "L'esame del pacchetto sicurezza italiano è ancora in corso. I nostri servizi sono in contatto con le autorità italiane per verificare la compatibilità". La Commissione si riserva comunque di dare una valutazione non appena l'Italia darà le informazioni "sulle misure intraprese in materia di immigrazione irregolare". Quanto alla gestione dei flussi migratori nel mediterraneo, inclusi i respingimenti da parte delle autorità italiane verso la Libia, Barrot è stato molto chiaro: "Il principio di non rimpatrio è iscritto nel diritto internazionale e anche in questo caso stiamo chiedendo alle autorità italiane delle informazioni per vedere esattamente quello che stanno facendo e in che modo queste operazioni sono condotte. Siamo in contatto con le autorità italiane per verificare questo punto" - ha proseguito Cercone.

E proprio sui respingimenti nei giorni scorsi ha chiesto chiarimenti al Governo italiano anche l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) a seguito delle testimonianze di un gruppo di eritrei respinti in Libia che hanno denunciato di non aver potuto chiedere protezione all’Italia e di essere stati anzi maltrattati e feriti dai militari italiani. L’Unhcr ha infatti raccolto testimonianze riguardo l’uso della forza da parte dei militari italiani nei confronti di diversi degli 82 migranti intercettati dal pattugliatore Orione il 1° luglio nel Canale di Sicilia. Secondo l’inchiesta svolta dall’organismo dell'Onu, le autorità italiane non solo "non hanno cercato di stabilire le nazionalità" dei migranti - di cui 76 provenienti dall’Eritrea - ma i militari hanno usato la forza e "sei eritrei avrebbero avuto necessità di cure mediche in seguito ai maltrattamenti" e i loro documenti sarebbero stati confiscati dai militari italiani e non più riconsegnati.

Sull'episodio è tornato ieri anche il direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir), Christopher Hein ha annunciato che uno degli otto eritrei picchiati dai militari italiani "ha riportato ferite alla testa provocate da bastoni elettrici, documentate con fotografie". "La politica di respingimento di rifugiati e richiedenti asilo verso la Libia deve subito cessare" ha aggiunto il direttore del CIR. "Non è tollerabile che il Canale di Sicilia diventi una zona franca in cui nessuna legge è rispettata" - continua Hein. "Attraverso interviste con gli interessati in territorio libico, si è infatti evidenziato che le operazioni di respingimento delle ultime settimane hanno colpito principalmente persone bisognose di protezione internazionale".

E in un'intervista a Vita il direttore del CIR aggiunge: "Nessuno dei respinti infatti è mai stato identificato e tra loro ci sono appartenenti a categorie protette contro espulsioni e respingimento, stabilite dall’art 19 del testo unico sull’Immigrazione, come donne in stato di gravidanza, bambini non accompagnati, persone con urgente bisogno di cure mediche. Questo è quello che succede in concreto in quella fetta di mare, zona propro perchè in alto mare impossibile da controllare". [GB]

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