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Siamo troppi o troppo pochi? Dalla sovrappopolazione all'Age of Depopulation
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Foto: Unsplash.com
Nel 1962, John Calhoun, un giovane biologo statunitense, pubblicò su Scientific Americanun articolo concernente un suo esperimento. Calhoun aveva constatato che i topi immessi all’interno di un ampio granaio si riproducevano rapidamente ma, giunti a un certo punto, la popolazione si stabilizzava: i topi più anziani morivano perché era loro precluso dai più giovani l’accesso al cibo, mentre la maggior parte dei nuovi nati erano eliminati. Calhoun concluse che l’esperimento offriva utili indizi anche in riferimento all’aumento della popolazione umana (sull’esperimento si veda Alan Dugatkin, Dr Calhoun’s Mousery: The strange Tale of a celebrated scientist, a rodent Dystopia and the future of Humanity, University of Chicago Press, 2024).
Lo studio costituisce il primo segnale del diffondersi della paura per la sovrappopolazione: molti nei paesi industrializzati accusano i paesi poveri, dove l’aumento della popolazione era più consistente, di essere i principali responsabili della distruzione delle risorse naturali e dell’ambiente. Due libri alimentano questa paura. Famine 1975! America’s Decision: Who Will Survive? di William e Paul Paddock, pubblicato nel 1967, afferma che, a causa del rapido aumento della popolazione nel mondo, entro pochi anni si sarebbe verificata una carestia di enormi proporzioni con milioni di vittime. Dell’anno seguente è The Population Bomb, di un ambientalista ed entomologo statunitense, Paul Ehrlich. L’autore avverte che, a causa dell’incontenibile aumento della popolazione mondiale, «Nei prossimi 15 anni arriverà la fine. E con la parola fine intendo il crollo nell’intero pianeta della possibilità di nutrire l’umanità».
Queste affermazioni crearono un vasto allarme sociale, ma si sono rivelate prive di fondamento. Il problema, ammonisce la FAO, non è tanto la sovrappopolazione mondiale e la mancanza di risorse, quanto la cattiva gestione delle risorse esistenti. Danneggiano l’ambiente i consumi incontrollati, la riduzione della biodiversità dovuta all’estendersi degli allevamenti e il cambiamento climatico provocato dall’uso di combustibili fossili. La fame non è prodotta dalla mancanza di risorse ma dalla disuguaglianza, ricorda l’economista premio Nobel Amartya Sen. Peraltro, proprio in quegli anni si stavano manifestando gli effetti della Rivoluzione verde lanciata anni prima dall’agronomo e genetista statunitense Norman Borlaug, basata su tre strumenti: la ricerca e l’utilizzazione di sementi più resistenti o più produttive, l’applicazione di adeguate tecniche di irrigazione e l’uso di fertilizzanti appropriati. Peraltro il tasso di fertilità globale, da 4,8 nascite per donna nel 1950, comincia a diminuire fino a raggiungere quota 2,2 nel 2021.
Da anni l’idea che siamo troppi è stata accantonata. Nel 2013 lo studioso di sistemi ambientali Erle C.Ellis pubblicava sul New York Times “La sovrappopolazione non è il problema”. Oggi, al contrario, l’allarme è dato dal calo della popolazione in diversi contesti, come in molte regioni d'Europa. Ma se nel 1300 la riduzione era stata causata da cause naturali, la pandemia di peste, oggi è prodotta da scelte delle persone che non fanno più figli. Quella era una storia di fallimento e di incapacità nel contenere la diffusione dell’epidemia; il declino della popolazione attuale è una storia di successo che riflette i progressi nell'accesso a moderni metodi contraccettivi, nell'istruzione femminile e nell’estendersi dei diritti per le donne. Sempre più donne scelgono di ritardare la maternità o di avere meno figli per perseguire l’obiettivo dell’indipendenza e opportunità di istruzione e di lavoro. Questa tendenza si rileva chiaramente, per esempio nella ricerca del Global Burden of Disease Study pubblicato da Lancet nel 2020, in cui si prevede che la crescita globale della popolazione si invertirà nel 2064, e dai 9,7 miliardi scenderà a 8,7 miliardi nel 2100. Alla luce di queste proiezioni, solo un pugno di Paesi avrà ancora un numero di figli per donna superiore a 2,1 (tasso di sostituzione). Al punto che nelle nuove stime del Global Burden of Disease Study pubblicate su Lancet nel 2024, a fine secolo i paesi che avranno un tasso di fertilità sotto il tasso di sostituzione di 2,1 saranno solo sei: Samoa, Somalia, Tonga, Niger, Chad, e Tagikistan...