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Si solleva la protesta dei mussulmani asiatici
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LA GUERRA SOLLEVA LE PROTESTE DEI MUSULMANI ASIATICI
Decine di manifestazioni di protesta antiamericane si sono svolte in diversi Paesi asiatici mentre in Iraq è trascorsa la prima giornata di guerra. Nelle strade di Peshawar e di Lahore, in Pakistan, i dimostranti, tra cui molti sostenitori del partito d'ispirazione religiosa Islamic Jamaat-i-Islami, hanno gridato la loro volontà di unirsi ai soldati iracheni contro i militari americani. Altri hanno ribadito che Saddam Hussein è un eroe per il popolo islamico. "L'America ha firmato la sua condanna a morte" ha sinistramente affermato il leader religioso Maulana Fazlur Rehman. Il governo di Islamabad ha deplorato l'azione militare statunitense ma si è anche rammaricato del fatto che il rais di Baghdad non abbia preso in considerazione tutte le possibili via d'uscita per salvare il suo popolo dalla guerra. Anche il governo indiano ha espresso la sua opposizione alla politica statunitense: "L'azione militare lanciata oggi non ha nessuna giustificazione" ha esordito il portavoce del ministero degli esteri Navtej Sarna a cui si è unita la voce del più alto esponente della comunità islamica in India, l'iman Bukhari. "I musulmani dell'India considerano l'aggressione americana all'Iraq un attacco all'Islam e a tutta l'umanità" ha affermato il religioso. Non diversa la situazione nelle strade di Kabul, in Afghanistan, nazione che poco più di un anno fa si trovava sotto i bombardamenti statunitensi. Bandiere americane incendiate e fantocci raffiguranti il presidente americano George W. Bush sono stati dati alle fiamme anche nelle capitali di Bangladesh, Nepal e Sri Lanka. Situazione particolarmente tesa in Indonesia dove i leader religiosi musulmani moderati ed estremisti si sono trovati in sintonia nel reagire con rabbia allo scoppio della guerra. "Non sono un difensore di Saddam Hussein ma vorrei sapere chi da il diritto a Bush di espellere un uomo dal proprio Paese" ha asserito Syafii Ma'arif, capo del Muhammadiyah che con 30 milioni di aderenti è il secondo movimento islamico moderato dell'Indonesia. Mentre la formazione musulmana radicale Hizbut Tahrir ha fatto sapere di considerare l'attacco all'Iraq un dichiarazione di guerra a tutto l'islam. Un migliaio di persone hanno manifestato fuori dall'ambasciata americana in Indonesia, protetta da un centinaio di agenti di sicurezza, al grido di "Dio è Grande" e "Americani terroristi".
LAVORATORI STRANIERI IN FUGA DAL KUWAIT
Migliaia di immigrati asiatici hanno affollato ieri gli aeroporti del Kuwait cercando di lasciare il Paese. Indiani, pakistani, bangladesi, tailandesi e filippini hanno fatto la fila ai 'check in' fin dalle prime ore dell'alba, terrorizzati dalle notizie del lancio di missili iracheni in Kuwait in risposta all'attacco americano. Alcuni lavoratori tornano in patria dopo decenni di lontananza richiamati dai parenti preoccupati, altri vengono incoraggiati a lasciare il Paese dalle stesse aziende per cui lavorano. E c'è anche chi, invece, non può andarsene pur se vorrebbe: il datore di lavoro, come di solito accade negli emirati arabi, gli ha sequestrato il passaporto al momento dell'assunzione. La Thailandia ha organizzato un volo speciale per i connazionali che vogliono rientrare. Si accingono a fare altrettanto Nepal e Pakistan. Nei giorni scorsi l'ambasciata filippina aveva annunciato l'allestimento di campi di assistenza al confine con l'Arabia Saudita per i suoi 60mila cittadini. I lavoratori stranieri, in prevalenza asiatici, ammontano a un terzo dei circa 2 milioni di abitanti del Kuwait. Non si ha notizia di simili esodi da altri Paesi del Golfo Persico.