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Shirin Ebadi: dialogo e informazione per la democrazia in Iran
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Succede spesso che le vicende quotidiane di alcune parti del mondo vengano completamente ignorate, ma che da un giorno all'altro, determinati accadimenti monopolizzino l'attenzione del mondo.
È quello che sta accadendo in questi giorni a Teheran, dove violenti scontri di piazza sono scoppiati a seguito delle elezioni presidenziali che hanno portato alla conferma del presidente uscente Mahmus Ahmadinejad.
Se ne è parlato nei giorni scorsi a Trento, con l'avvocato e attivista iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace nel 2003, ospite della Provincia Autonoma di Trento, del Forum trentino per la pace. Il Nobel è presente in Regione su invito della Fondazione Langer per ritirare il Premio internazionale indetto dall'omonima Fondazione di Bolzano e dedicato ai "costruttori di pace". Quest'anno è stato assegnato a Narges Mohammadi, ingegnere, giornalista, presidente del comitato esecutivo del Consiglio Nazionale della pace in Iran, vasta coalizione di attivisti nel campo della promozione dei diritti umani, che non ha potuto venire in Italia per gli ostacoli frapposti dal regime iraniano.
Al suo posto è venuta Shirin Ebadi. Incalzata dalle domande dei giornalisti, Ebadi ha sottolineato la natura profondamente diversa delle proteste in piazza e della reazione del regime: pacifica e lecita la prima (“durante la prima manifestazione non fu spaccato nemmeno un vetro”), violenta ed ingiustificata la seconda, come scrive la Tavola per la Pace. Una repressione, più che una reazione, con arresti, minacce, percosse, feriti e omicidi. Molti omicidi. “Come esempio di brutalità”- ricorda Il Premio Nobel - “durante le irruzioni notturne delle milizie di regime, nel dormitorio dell'Università di Teheran ove cinque studenti furono assassinati nel sonno”.
Cosa chiede, in concreto, una voce libera come quella dell'avvocato iraniano? “In primo luogo chiedo che vengano immediatamente rilasciati tutti colore che sono stati arrestati, manifestanti, giornalisti e oppositori politici. E che il popolo iraniano abbia il diritto di condannare l'azione del regime senza rischiare ulteriori arresti, o, peggio ancora, omicidi”.
Ma la sua richiesta non si ferma qui, si sposta dalle piazze iraniane alle nostre, anche quelle virtuali e investe il giornalismo libero della responsabilità di raccontare la resistenza di Teheran, contro una violazione della democrazia che non è una novità di questo mese, in Iran.
Anche le elezioni precedenti, secondo Shirin Ebadi, furono viziate da brogli e minacce. Una testimonianza libera e senza paura e diffidenza nei confronti di un mondo lontano.”Paura - ragiona Shirin Ebadi con Unimondo a margine dell'incontro – figlia della mancanza di conoscenza che voi occidentali avete verso l'Islam. Colmare questa mancanza è la chiave per un auspicato dialogo tra civiltà, in contrapposizione allo scontro paventato da Huntington.”.
A conclusione del dibattito, la domanda più attesa: “è possibile la democrazia in Iran?” La risposta, secca, è quella sperata: “ la gente di Teheran sta lottando per quella. E un giorno ci riuscirà.”
A patto che tutti, compresi noi dei media, siamo testimoni di questo impegno popolare.
Andrea Dalla Palma