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Semi di cultura
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Le biblioteche sono da sempre i luoghi per eccellenza deputati alla conservazione, alla circolazione e alla diffusione della cultura, una cultura che oggi più che mai si apre a tutte le sfumature prismatiche dei gusti e degli interessi di ognuno, dalle enciclopedie alle ricette di cucina, dai dizionari di greco ai manuali di chimica, dai quotidiani ai supporti multimediali. Sono stanze cariche di storie, in cui risuonano gli echi di chi le ha nutrite e i sussurri di chi le frequenta, che si distinguono da altri luoghi di cultura e informazione per la gratuità della condivisione: un sapere accessibile a tutti attraverso il sistema del prestito.
Proprio su queste basi si innesta la scelta di una biblioteca che ha deciso di fare un esperimento: assieme ai libri offre la possibilità di prendere in prestito semi. Non in senso figurato, per far germogliare pensieri e nuove idee, ma nel senso più semplice e concreto, veri e propri semi da piantare nella terra. L’idea è venuta alla biblioteca – pubblica! – della città di Basalt, in Colorado: al momento del primo tesseramento l’utente riceve in dotazione una bustina di semi che potrà portare a casa e piantare nel proprio orto, giardino, vaso. Una volta completato il loro ciclo (germogliare, dare fiori e frutti e quindi altri semi) dovranno essere restituiti. Verranno in quel caso raccolti in bustine che conterranno tutte le informazioni necessarie per chi desiderasse prenderli nuovamente in prestito: nome della pianta, foto, nome di chi ha raccolto i semi.
L’iniziativa nasce da una riflessione intrigante che la direttrice dell’Istituto, Barbara Milnor, riassume così: “I supporti digitali che abbiamo a disposizione rendono sempre più complicato il coinvolgimento dei cittadini, che non frequentano più le biblioteche con l’assiduità di un tempo; l’attività proposta con i semi, oltre a ripopolare la biblioteca, potrà rendere questo spazio un luogo ricco di nuova vita. Magari può sembrare strano che si sia deciso di rendere proprio la biblioteca il punto nevralgico del progetto, ma in realtà lo spazio risponde perfettamente a un requisito indispensabile: i semi e le piante sono dei beni naturali e in quanto tali devono essere accessibili a tutti i cittadini”. Senza contare che l’American Library Association conferma l’attivazione di almeno altri 12 progetti simili in tutto il Paese ma, a quanto riportato dall’organizzazione Richmond Grow Seeds, le “biblioteche che prestano semi” sono più di 230, e molte di queste sono raccolte nel database in costante aggiornamento, dal quale si possono estrarre indirizzi e contatti.
Non va trascurato il fatto che la pratica avviata contribuisce poi a offrire incentivi per lo sviluppo dell’agricoltura autonoma, soprattutto nell’ovest del Colorado, dove il clima è secco, le stagioni brevi e i terreni ricchi di sostanze alcaline: l’obiettivo è quindi anche quello di avere a disposizione in tempi relativamente brevi una selezione di semi perfetti, resistenti ai parassiti e alla siccità. Un’idea che, come c’era da aspettarsi, non piace a chi dai semi vuole invece veder germogliare solo profitti e fa di tutto per ostacolarne lo scambio (soprattutto se gratuito!), adducendo motivazioni quali il rischio di diffusione di piante infestanti o velenose o persino lo sviluppo di forme di agri-terrorismo.
L’iniziativa sembra però essere particolarmente apprezzata dai bambini e dai genitori che li accompagnano in biblioteca, luogo dove si moltiplicano le possibilità di imparare. E probabilmente l’idea dei semi rende ancor più evidente il senso di questi gesti: veder crescere dalla terra scura una piccola pianta, della quale si potranno apprezzare i colori o gustare i frutti, oltre che entusiasmare i bambini, permette loro di visualizzare e toccare con mano quel circolo virtuoso del ricevere e del restituire. Un circuito che ora, grazie a questo progetto, include anche una sosta alla biblioteca locale.
Inutile dire che l’augurio che ci facciamo è che un’idea tanto sovversiva (alla luce di quanto detto forse non lo è?) e di facile riproduzione possa diffondersi presto anche in Italia, dove è evidente la difficoltà a decollare che incontrano quelle iniziative innovative che tutelano l’ambiente, la biodiversità e la cultura. Difficoltà dovuta non certo o non sempre alla scarsa perseveranza di chi potrebbe implementare azioni positive, ma più spesso alla pachidermica lentezza della nostra burocrazia, agli interessi in gioco intorno ai beni primari (tra cui i semi) e allo scarso interesse ad investire sul futuro in maniera pulita, lungimirante e intelligente. Chissà se intanto non possa essere d’aiuto la visione del film-documentario Seeds of Time, di Sandy McLeod, che racconta la sfida di Cary Flower, una di quelle persone che desiderano proteggere il nostro futuro e in particolare quello delle nostre risorse alimentari. I cambiamenti climatici affliggono sempre più la produzione e il lavoro degli agricoltori, e la carenza di raccolti, unita al loro impoverimento in termini di qualità e di resistenza ai parassiti (dovuto all’ adozione smisurata di sostanze chimiche e di monoculture), sta causando carestie e difficoltà a reperire beni primari in tutto il mondo. Il documentario, che sarà proiettato in italiano durante la prossima edizione (dal 5 al 30 novembre 2014) del Festival Tutti nello stesso piatto, è una corsa contro il tempo dall’Italia alla Russia fino a una remota isola del Circolo Artico dove è stata costruita una gigantesca “banca” nel tentativo appassionato e personale di salvare l’unica vera risorsa di cui non potremo mai fare a meno. Noi intanto potremmo cominciare a fare la nostra parte da qui, dalle biblioteche delle nostre città, per diffondere una nuova consapevolezza in modo incisivo, per suscitare una partecipazione attiva nel senso più autentico del termine, per (ri)mettere in circolo semi di cultura e semi di vita.