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Se Renzi va avanti a slogan
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Non si sa ancora per quale motivo Matteo Renzi passerà alla storia del nostro paese. Se passerà davvero alla storia. Forse per essere il più giovane premier del dopoguerra, salito ai vertici dell’esecutivo a 39 anni e un mese, riuscendo a battere, anche se per pochissimo, pure Benito Mussolini? O forse per essere l’inventore più abile e frenetico di hashtag divenuti poi “virali”? Oppure ancora per la cronotabella delle riforme? Oppure per finire verrà ricordato per un trasformismo d’altri tempi che riesce a rendere statisti pure Maria Elena Boschi e Dennis Verdini?
Più facile sarebbe dire che cosa è stato Renzi. Il “rottamatore”, fino a ieri era il re Mida della politica italiana non perché volesse superare il reddito di Berlusconi, ma in quanto riusciva a trasformare in oro qualsiasi cosa si avvicinasse a lui. Riuscire nell’impresa di portare la “ditta” (come Bersani chiamava il PD) dalla vittoria/sconfitta delle elezioni del 2013 al 41% delle europee dell’anno scorso, ha del miracoloso, come del resto la sua capacità di rivoltare il PD per farlo diventare semplicemente il “Partito di Renzi”, dando alla sinistra quel leader “forte” così aborrito ai tempi della guerra tra Craxi e il PCI.
Il “bambino che ha mangiato i comunisti” e che in Europa si dichiara socialista assomiglia per certi versi al primo Bettino, quello riformista, della scala mobile, quello che era odiato dai sindacati, che si dichiarava vicino a Israele ma pure ai palestinesi. Un Craxi passato attraverso Berlusconi. Renzi infatti, al Meeting di Rimini, ha fatto un discorso completamente berlusconiano, basato sulla dicotomia tra l’Italia che guarda in avanti e quella che guarda in basso e sul concetto di libertà. Occorre togliere i vincoli, sprigionare le energie positive, “liberare” dalla burocrazia. Dall’ottimismo della volontà, di craxiana memoria, siamo passati alla “positività del reale”, un’espressione che fa impazzire il popolo di CL. Un discorso costruito da slogan validi sempre e comunque, che non riescono a convincere neppure quando il premier rivendica l’azione dell’Italia per soccorrere i migranti. "Non cederemo mai al messaggio che vuol far diventare l'Italia la terra della paura, possiamo anche perdere 3 voti ma non cederemo al provincialismo della paura. Non è buonismo, ma umanità: secoli di umanità ai quali non rinuncio per 3 voti. Prima salviamo le vite". Bene, ma il contrasto con la Lega non bastano le belle parole.
Renzi ha cercato di incarnare una svolta non solo generazionale. Ma ahimè re Mida ha sempre di più le orecchie d’asino o se preferite il naso lungo del suo corregionale Pinocchio, vero eroe nazionale dell’Italia. Non è una questione di bugie: quelle le dicono tutti, specie i politici. La bugia più grande è Renzi stesso, nelle sue promesse di essere diverso dagli altri. È incredibile come gli ultimi primi ministri abbiano tutti la stessa faccia tosta di dire: prima c’era il disastro, arriviamo noi a “riaccendere i motori”. Dopo vent’anni di immobilismo, ecco che noi… Renzi è sempre così. Proprio come Berlusconi. Non basta il volontarismo per cambiare un contesto che, nel bene e nel male, non è quello che ci raccontano.
Prendiamo l’Europa. Gli insopportabili selfie del gioviale Giamburrasca (anche lui toscano) che scherza tra Alexis e Angela – atteggiamenti del tutto simili ai cùcù di Berlusconi sempre alla stessa Merkel – stridono con i “pugni sul tavolo” sbattuti da Renzi per farsi ascoltare sul fenomeno dei rifugiati. L’Italia conta pochissimo, ma è soprattutto l’Europa ad essere assente. Quell’Europa che ancora Renzi voleva addirittura guidare durante il semestre di presidenza italiano. Nessuno si ricorda qualche iniziativa eclatante giunta in porto se non la nomina di “Federica” (Mogherini, ma adesso bisogna chiamare i politici per nome, stile Sud America, che ora incredibilmente qualcuno candida come segretario generale dell’ONU!) ad Alto commissario della politica estera dell’Unione. Eppure, come ai tempi di Silvio, Renzi dice che l’Italia è tornata a contare, è amica dell’Iran e degli Stati Uniti, di Vladimir (Putin) e di Barak (Obama) e che li metterà d’accordo con Petro (Poroshenko, presidente dell’Ucraina). Dappertutto hanno capito che l’Italia “c’è”.
Non si dice che la globalizzazione ha trasformato la politica nazionale: sono la finanza mondiale, le grandi Corporation, gli Stati Uniti o la Cina, forse organismi sovranazionali, come dovrebbe essere l’Unione europea, a determinare almeno in parte i processi storici. Non si potrà mai dire agli elettori che lo spazio discrezionale di un governo nazionale è ridotto al lumicino? Si potrà dirlo agli elettori di “sinistra” che si spellano le mani alla ripresa di sovranità di Tsipras salvo poi rimanere confusi quando lo stesso premier greco con un notevole pragmatismo si accorda con i demoni della Troika?
Si potrebbe continuare a lungo questo ragionamento. Ciò che potrebbe affossare Renzi è proprio la normalità. Il suo governo non può essere troppo diverso da quello di Letta. Renzi non è diverso da “Enricostaisereno” e neppure dal glaciale Monti e neppure da Berlusconi. La differenza è sulle aspettative suscitate dal giovane Matteo che ora rischiano di sotterrarlo perché non possono essere concretizzate per il contesto stesso in cui sono state snocciolate.
Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.