La politica estera del governo Renzi: solo vuote parole

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Mentre Matteo Renzi riesce a far approvare a colpi di fiducia la nuova legge elettorale, raggiungendo un traguardo insperato, il governo nel suo insieme non sembra in grado di affrontare le emergenze del momento. La propaganda e la retorica vogliono evidenziare come con Renzi l’Italia riaccende i motori: il giovane premier inaugura baldanzoso Expo (circostanza fortunata), ma poi deve subire lo sciopero della scuola, la scissione del PD, il record della disoccupazione, un’economia che non riesce a ripartire. Renzi cerca di fare riforme, discutibili certamente, ma comunque segno di una volontà di rinnovamento. È in politica estera però che il governo delude maggiormente. Alcuni episodi recenti lo dimostrano in maniera incontrovertibile.

In un aula “sorda e grigia”, il 24 aprile scorso, deserta dai deputati già partiti per il consueto weekend lungo, il ministro degli esteri Gentiloni ha informato i pochi onorevoli superstiti dal troppo lavoro sull’uccisione del cooperante Lo Porto, colpevole di essere stato rapito da “terroristi” colpiti da un drone americano. Lo Porto è vittima di “fuoco amico”, un effetto collaterale della politica degli assassini “mirati” (una pratica fuori da ogni regola e legge internazionale, ma ormai consueta, che si sta pericolosamente diffondendo). Pochi giorni prima le pacche sulle spalle, i sorrisi, i convenevoli, i saluti giovanilisti non si sprecavano tra Obama e Renzi. Il nostro premier – come prima Letta, Monti, Berlusconi, Prodi, Berlusconi – in visita alla Casa Bianca trovava grande riconoscimento per l’azione dell’Italia e la solita retorica riservata a qualsiasi ospite. Tutti i Presidenti USA fanno così, ma qualcuno da noi crede ancora nella “enorme stima” americana verso una politica – la nostra – che faticano pure a decifrare.

Renzi però è sempre così. Lo stile assomiglia davvero a quello di Berlusconi. O del primo Craxi. Grandi proclami, poca concretezza; grandi gesti, nessuna sostanza. E poi, spiace dirlo, il travisamento della realtà, insuccessi spacciati per riconoscimenti del “ruolo internazionale” ritrovato dall’Italia. L’episodio – imbarazzante e doloroso – dell’ostaggio ucciso è soltanto l’ultimo, forse il meno grave data la prassi americana di non guardare in faccia nessuno. Pensiamo alla questione terrorismo e alla questione immigrazione. Davvero il quadro è scoraggiante.

A metà febbraio l’Italia stava per affrontare un’invasione. L’ISIS era alle porte. La Libia a un passo dal diventare la nuova provincia del califfato di Al Baghdadi. Arriveranno. Molto prima di quello che si credeva. Addirittura prima delle previsione di Feltri e Sallusti. Sirte era conquistata. Le minacce quotidiane. Il ministro Gentiloni, fresco di nomina, non si spaventa. “L’Italia è pronta a combattere in un quadro di legalità internazionale” – queste le prime dichiarazioni del ministro. L’Italia la guiderà, parola di ministra della difesa, pardon della guerra, Pinotti. Un’intervista del 15 febbraio della ministra (o ministro come si dica) dimostra il livello generale dei nostri governanti. Un delirio farneticante, affermazioni da dilettanti. Sembrava questione di ore per un intervento militare: bisognava decidere se entrare o meno con le nostre truppe di terra in Libia. Cinquemila uomini erano pronti.

E poi? Il nulla. Anzi la raffica – questa sì uscita da mitragliatrici ben oliate – delle smentite, del non è vero, dell’azione militare come “opzione sul tavolo” (altra espressione da pappagalli, tipica dei Presidenti USA commander in chief quando stanno per bombardare qualcuno). Poi altre dichiarazioni sulla priorità della diplomazia, sul grande ruolo dell’Italia nel Mediterraneo… Infine l’attenzione scema, la Libia è ancora uno Stato “fallito” con due governi, con varie presenze di gruppi “terroristici”, con l’ISIS che mette qualche bandiera nera e lancia qualche proclama contro il povero ministro “piacione” Gentiloni che diventa un improbabile crociato.

Passiamo alla cosiddetta emergenza sbarchi. Va dato atto che questo governo non tratta i migranti come pericolosi assalitori e cerca di salvare quante più vite umane possibili. Probabilmente però a spingere in questa direzione sono le continue denunce di papa Francesco piuttosto che una precisa volontà politica. Perché, concretamente, vere soluzioni non si mettono in campo. Meglio la retorica. Le parole vuote. Il nemico assoluto c’è: sono gli “scafisti”. I nuovi spregevoli mercanti di essere umani. Quando pronunciava queste parole il viso teatrale di Renzi cercava la massima espressione di indignazione, salvo poi ridere salutando Angela, Francoise o David – come orrendamente chiama i primi ministri ai vertici europei. Occorre colpire le navi degli scafisti. Come? Magari con il drone che ha ucciso Lo Porto? Pensiamo a un blocco navale. Per fare  cosa? Per salvare meglio i naufraghi piazziamo corvette pronte a sparare agli scafisti. Renzi è riuscito a convocare apposta un vertice europeo sulla questione: bravo, ma gli esiti sono stati totalmente deludenti.

Questa è la nostra politica estera. È così da anni. Rimpiangiamo davvero Prodi. Adesso la situazione è molto peggiorata. Qualcuno ricorda che cosa ha fatto Renzi durante la sbandierata presidenza italiana dell’Unione Europea? Qualcuno sa che cosa sta facendo “l’alto commissario” della politica estera UE Mogherini? Ma il problema sono le parole al vento del nostro governo a suscitare apprensione.  

Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.

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