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Scontrincontri in cucina
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Cosa si mangia? La domanda anticipa una serie di riflessioni, attività e approfondimenti che la World Social Agenda propone alle scuole e alla cittadinanza sul tema del diritto al cibo, della sovranità alimentare e della sostenibilità, declinando quello tra gli 8 Obiettivi di Sviluppo del Millennio che le Nazioni Unite hanno scelto di mettere in cima alla lista delle priorità. Sradicare la povertà estrema e la fame quindi come il più urgente dei problemi da risolvere, ma anche come punta di un iceberg che raccoglie intrecci di azioni imprescindibili, dalla garanzia dell’accesso all’istruzione per tutti i bambini e le bambine nel mondo al miglioramento della salute materno infantile, dal debellamento delle malattie endemiche al rispetto per l’ambiente, il tutto attraversato da un corretto approccio alle dinamiche di genere e da un costante lavoro di partenariato.
Ma Cosa si mangia? è anche la domanda che, oltre ad aprire un ampio spettro di risposte possibili sulla qualità del cibo che “ci portiamo dentro”, appartiene profondamente al nostro quotidiano e, se da un lato ci offre l’occasione per momenti rilassati e conviviali, dall’altro non di rado fa da sfondo a “piccoli grandi scontri di civiltà”, relativi alle scelte o alle abitudini alimentari di ognuno. E – assurdo forse, ma vero – spesso queste discussioni nascono proprio intorno alle nostre tavole. Capita però che la partecipazione a un momento simbolico di condivisione delle proprie identità culinarie (e quindi individuali e comunitarie) offra invece il punto di partenza per poter ricomporre strappi e divergenze. O almeno provarci. E’ l’idea di Conflict Kitchen, un ristorante di Pittsburgh (Pennsylvania) che ha deciso di servire a tavola esclusivamente piatti tipici di quei Paesi con cui gli Stati Uniti sono in conflitto (il menù, come potete immaginare, è molto ricco…!). Ogni proposta viene accompagnata da eventi, performance e discussioni il cui intento è quello di promuovere una cultura di pace focalizzando l’attenzione su aspetti culturali e politici e approfondendo le questioni più attuali. I “pacchetti” sono pensati e realizzati in collaborazione con gli immigrati che vivono negli States ma che sono originari di quei Paesi. Ordinando al chiosco il vostro panino o sedendovi a un tavolo di questo ristorante, il vostro piatto fumante potrà essere accompagnato da interviste raccolte ad esempio tra gli immigrati venezuelani e i cui argomenti spazieranno dalla cultura alla politica, senza la presunzione di farsi portavoce della verità, anzi, spesso fornendo versioni diverse e perché no, anche contradditorie, dipendenti dalla storia personale di ognuno e dalle differenti visioni prospettiche. Contraddizioni che, come è ovvio, riflettono le sfumature del pensiero che appartengono ad ogni Paese e che sono necessarie per incuriosire, stimolare ulteriori domande e avviare i dibattiti.
Un modo per invitare le persone, attraverso le relazioni che ruotano attorno al cibo e allo scambio economico, a confrontarsi con le questioni poste sul tavolo del dibattito pubblico e che coinvolgono culture, tradizioni, abitudini e opinioni delle quali spesso poco si conosce al di là delle versioni polarizzate proposte dal forum politico, spesso sotto la lente ristretta della visione mediatica. Senza contare che un’iniziativa di questo tipo offre più che mai un’opportunità costante di interscambio tra le differenze di ognuno, soprattutto nel panorama di una città post-industriale come Pittsburgh che non ha mai ospitato un ristorante iraniano, afghano, cubano, venezuelano o nordcoreano.
Probabilmente non sarà questo il teatro dove si risolveranno i conflitti che travagliano il mondo, ma se fosse soltanto anche una delle innumerevoli occasioni per educarsi all’incontro con l’altro, per vivere il proprio tempo libero o la pausa pranzo con un’attenzione nuova e per abituarsi a non escludere la propria partecipazione alla vita politica (nel senso etimologico di polis, quindi alla vita della città e dei suoi abitanti) anche durante i momenti più intimi del pasto in cui abbassiamo le difese e siamo più predisposti all’ascolto… Se fosse anche soltanto questo ci sembra un importante passo nella giusta direzione.