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Rwanda: elezioni per la democrazia o ritorno al partito unico?
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Paul Kagame è il nuovo Presidente del Rwanda, con più del 95% dei voti e una altissima affluenza alle urne nelle elezioni presidenziali di lunedì 25 agosto. La Commissione Elettorale Nazionale (CEN) lo ha ufficialmente comunicato nel pomeriggio di martedì, ma già da qualche ora i sostenitori del Presidente che ha guidato il paese dal 1994 suonavano i clacson nelle strade di Kigali e si radunavano nello stadio Amahoro della capitale per rendere omaggio al loro candidato. Nel suo discorso di ringraziamento ha tenuto a sottolineare l'unitarietà del supporto da parte di tutto il popolo rwandese, al di sopra delle differenze etniche, di età e di censo. E le promesse di un prosperoso e luminoso futuro per tutti dove "la democrazia si mescola e rafforza lo sviluppo".
Ma subito si è levata la voce dell'opposizione, se così si può chiamare, che per bocca dell'unico avversario con un minimo di credibilità, Faustin Twagiramungu, ha annunciato di "rifiutare il risultato di queste elezioni che si sono svolte in un clima di tensione e intimidazione", fino a definire il regime attuale come "stalinista". Lo stesso ex-primo ministro, rientrato in Rwanda per le elezioni dopo un esilio volontario di 8 anni in Europa, ha ricordato le continue intimidazioni cui sono stati sottoposti i suoi sostenitori, denunciate da diverse fonti, che hanno portato il Governo Olandese a congelare il finanziamento già approvato per coprire le spese organizzative. La sua protesta inizierà con una lettera alla Corte Suprema e denuncia di "correre il rischio di essere arrestato, e addirittura di essere assassinato. Ma sono pronto a correre tutti i rischi".
La missione di osservazione dell'Unione Europea esprime un giudizio apertamente critico sullo svolgimento delle elezioni, che si aggiunge alle perplessità espresse sulle modalità della campagna elettorale. Sono stati rilevati casi palesi di irregolarità e la presenza "intimidatoria" di rappresentanti del Partito di Kagame che in alcuni casi "hanno assunto un controllo non ufficiale del seggio". A controbilanciare parzialmente queste critiche il Deputato del Parlamento Europeo e Capo Missione degli Osservatori UE, Colette Flesch afferma che si tratta comunque di "un passo importante nel processo di democratizzazione".
Il risultato non è certo una sorpresa se si confrontano i mezzi messi in campo dai candidati per supportare la loro campagna elettorale. Kagame poteva contare su un volume di "fuoco" impressionante: sette anni di presenza ininterrotta, una struttura partitica capillare e ben introdotta in tutti i settori della società, una naturale predisposizione del popolo rwandese ad appoggiare chi già detiene il potere (molto ancora per paura di ritorsioni), il controllo totale della carta stampata (come denunciato da Reporters sans Frontieres) e dei media. E a completare una campagna 'all'americana': t-shirts, cappellini e addirittura cartelloni luminosi nelle vie di Kigali. A questo Twagiramungu ha dovuto contrapporre, nei soli 25 giorni della campagna elettorale, una struttura raffazzonata, un partito messo al bando, l'incapacità di trovare anche solo dei luoghi dove poter riunire i propri supporter.
Ma questo risultato sembra veramente troppo anche tenuto conto di tutto questo. "Sembra il ritorno al partito unico di prima dell'introduzione del multipartitismo nel 1990" - ha affermato un rappresentante della Lega per i diritti dell'uomo nella regione dei Grandi Laghi. "E' un bene per Kagame, che si rafforza come capo unico e insostituibile, ma non per un paese che vuole avviare un processo di democratizzazione". E l'unica prospettiva possibile, per aumentare la sua credibilità, è quella della reale apertura alle opposizioni che porti alla condivisione delle responsabilità e dei poteri. E la prima occasione è il processo di avvicinamento alle elezioni legislative che avranno luogo nel settembre prossimo.