Russia e El Salvador: due riflessi della stessa criptomoneta

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Foto: Unsplash.com

Una cosa è certa: il Bitcoin divide. Da una parte ci sono quelli, come la Banca Centrale Russa, che vogliono bandire la criptovaluta per il rischio di forte instabilità finanziaria che ne scaturirebbe, rendendo fragile la sovranità del Paese e vanificando le sue politiche monetarie. Dall’altra quelli, come El Salvador, che l’hanno addirittura adottata come moneta in corso legale: il primo paese al mondo a consentire ai cittadini di fare acquisti in tutti i negozi e di pagare le tasse tramite bitcoin. A discapito di una crescente preoccupazione della propria popolazione, nonché del FMI, che in un comunicato del 25 gennaio scorso ha espressamente chiesto al Paese di rinunciare alla criptomoneta. Ben lungi dal voler essere esaustivi di un argomento oltremodo complesso, cerchiamo di fare luce sulle due decisioni.

Nel primo caso, stiamo parlando di una delle nazioni più attive nel mining di criptovalute. Le principali strutture si trovano nel nord del paese e in Siberia, dove basse temperature ed energia a costi limitati favoriscono questo tipo di business. BitRiver, Minespot e BitCluster sono tra le maggiori aziende che forniscono servizi nel settore, all’interno di un polo che è diventato sempre più importante soprattutto dopo che la Cina, lo scorso novembre, ha vietato qualsiasi transazione finanziaria legata alle criptovalute. Ragione per cui molte aziende cinesi sono emigrate nel vicino Kazakhstan. Tuttavia, in Russia, la Banca Centrale, sulla falsariga del governo di Pechino, ha rivelato nel suo ultimo rapporto l’intenzione di proibire l'uso e la creazione di tutte le criptovalute a livello nazionale. Secondo la bozza, la Russia impedirebbe tutte le emissioni e le operazioni di criptovaluta sul suolo nazionale, vieterebbe alle banche di investirci, bloccherebbe lo scambio di cripto monete con la valuta tradizionale e introdurrebbe la responsabilità legale per l'utilizzo di questo tipo di pagamento negli acquisti. La giustificazione di tale presa di posizione deriva dalla tipica struttura piramidale finanziaria del Bitcoin, ove il valore di mercato della criptovaluta é definito principalmente dalla domanda speculativa per la crescita futura da parte di nuovi operatori. Il che potrebbe creare una bolla, che rischierebbe poi di esplodere con gravi effetti collaterali.

Va però considerato che l’eventuale veto a tutte le attività di mining provocherebbe un massiccio spostamento di investitori verso lidi più sicuri, ed una vertiginosa destabilizzazione a cascata sulla filiera del bitcoin - e altre cripto -, che come sappiamo è altamente volatile, e non è nuovo a crolli spropositati. Nulla di inedito, in realtà: quanto più un investimento si è apprezzato per cause “speculative”, cioè per ottimistiche previsioni future anche molto remote, tanto più violenta è la correzione se quelle prospettive diventano ancor più remote. Inoltre, al crescere dei rendimenti reali di mercato, gli investimenti-promessa, spesso effettuati a leva, cioè indebitandosi, subiscono ribassi piuttosto violenti, con effetti devastanti. Dietro il parere della BCR, tuttavia, potrebbe esserci anche un’intenzione politica. I pagamenti su blockchain, così difficili da rintracciare, sono sempre più utilizzati dagli oppositori Putin per donazioni e sostengo alle organizzazioni anti-regime, comprese le risorse dei media. 

Nel caso di El Salvador, invece, il giovane e ambizioso Presidente Nayib Bukele dall’anno scorso ha sottoposto il suo paese a un esperimento unico, o per meglio dire una scommessa: rendere il Bitcoin una valuta a corso legale, all’interno di un maxi programma di diffusione a tappeto della cripto, in un paese che da un ventennio è dollarizzato. La stravagante idea ci colui che si auto descrive come il “CEO di El Salvador” è quella di fare dello stato Centroamericano una specie di Silicon Valley cripto e attirare capitali da tutto il mondo. Nuovi investimenti e nuove imprese che sarebbero capaci di vivacizzare le possibilità lavorative, trasformando la nazione in un paradiso per le aziende tech dal sapore criptoPeccato che la scommessa, fin qui, è stata persa, e l’unico che ci ha certamente guadagnato fin qui in visibilità è lo stesso Bukele. Il crescente debito pubblico salvadoregno ha imboccato una via senza ritorno e potrebbe salire al 96% (in rapporto al PIL) entro il 2026, ed ha possibilità striminzite di essere sostenuto da un PIL che è invece stagnante. Cosa è successo? Mentre Bukele procedeva col suo piano onirico, più pragmaticamente gli investitori si liberavano del debito del Salvador, di cui un miliardo di dollari è in scadenza il prossimo anno, per i giustificati timori che il paese perdesse l’accesso al mercato dei capitali e non potesse più rifinanziarsi, giungendo al default. Di conseguenza, le quotazioni del debito sovrano Salvadoregno, ormai strettamente correlato all’andamento del bitcoin, hanno subito una precipitazione, minandone seriamente la sostenibilità.

Per questo l’allarme dell’FMI, che ammonisce El Salvador per aver intrapreso una strategia azzardata, pur di evitare i percorsi tradizionali e politici che gli vengono sollecitati: l’implementazione di riforme fiscali, la riduzione del crimine, alleggerire la burocrazia, ottimizzare la spesa pubblica. A dir poco azzardata tenendo conto del fatto che nel paese 9 cittadini su 10 non sapevano nemmeno cosa fosse un bitcoin e 8 su 10 hanno affermato di avere poca o nessuna fiducia nel denaro digitale. Ma la reale protezione dei consumatori è una gran scocciatura, il potenziale di accettazione della cittadinanza poco importa quando si ha la possibilità di pubblicizzare il primo portafoglio digitale nazionale – il famoso “Chivo” – che potesse rendere le transazioni finanziarie più semplici e aumentare l’inclusione finanziaria della cittadinanza. Come se non bastasse, lo stesso El Salvador aveva già avanzato nel 2021 la richiesta all’FMI di un prestito da 1,3 miliardi di dollari. Ma le aspettative di compromesso non sono rosee, specie con un paese che continua imperterrito ad avvitarsi nel suo percorso autocrate semi-suicida, adesso con la proposta di emettere dei Bitcoin Bond.

Dunque, se è vero che da una parte osserviamo una consolidata tendenza di tanti paesi autoritari, che confidano nelle criptovalute per svincolarsi da sistemi bancari flagellati da corruzione e inflazione (come India, Vietnam o Nigeria). Dall’altra, non vediamo esempi virtuosi da parte degli abitanti di nazioni ricche come gli USA o la stessa Germania, i quali magari non affidano altrettanto significato ideologico nel Bitcoin, ma preferiscono mantenere aperta anche quella porta. Non si sa mai.

Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.

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