Rsf: la libertà di stampa sotto le palme

Stampa

In Birmania, a Cuba, alle Maldive, alle Seychelles, in Tunisia e in Vietnam, la libertà di stampa semplicemente non esiste. I giornalisti indipendenti, considerati al pari di nemici pubblici, sono sottoposti a infinite pressioni da parte delle autorità disposte a ricorrere a ogni mezzo per ridurre al silenzio i professionisti dei media. Reporter senza frontiere chiede a chi parte per andare a visitare una di queste "dittature paradisiache" di praticare un turismo responsabile e informato. Per non dimenticare che questi paesi non rispettano i più elementari diritti dei giornalisti e degli attivisti dei diritti umani.

In Birmania, la giunta militare al potere non cede di un passo e continua a mantenere la più totale censura sull'informazione. Le condizioni dei 15 giornalisti prigionieri nelle carceri birmane è in continuo peggioramento. Nel 2003, il capo redattore di un settimanale sportivo è stato condannato alla pena capitale per aver denunciato la corruzione che regna nel mondo del football birmano.

Con oltre 30 professionisti dei media prigionieri, Cuba è in questo momento la più grande prigione del mondo per i giornalisti. Questi giornalisti sono stati condannati a pene comprese tra i 14 e i 27 anni di carcere alla fine di processi-farsa. Le loro famiglie hanno denunciato una "seconda condanna" dopo il trasferimento dei detenuti in carceri spesso lontane centinaia di chilometri dal loro domicilio. A Cuba, l'informazione continua a essere monopolio di Stato.

Alle Maldive, dal 2002 due animatori di una rivista di informazione online stanno scontando la condanna all'ergastolo. Il presidente Maumoon Abdul Gayoom, il più anziano capo di Stato asiatico, non tollera la minima critica e controlla più o meno direttamente, i principali media dell'arcipelago.

Alle Seychelles, la libertà di stampa è gestita da sempre con pugno di ferro. L'unico giornale di opposizione, Regar, pluridenunciato dai responsabili del governo, continua a essere oggetto di continue pressioni da parte delle autorità. L'ammontare dei risarcimenti in denaro pretesi dalle autorità che hanno sporto denuncia contro questo media, è talmente elevato che basterebbe anche una sola condanna per fare chiudere definitivamente il settimanale. I media pubblici continuano a essere sotto la strettissima sorveglianza degli uomini del governo.

Malgrado la timida apertura del settore audiovisivo, in termini di libertà di espressione la Tunisia non offre ancora le garanzie necessarie. Due giornalisti sono ancora prigionieri e quelli che si mostrano troppo critici nei confronti del potere sono sempre oggetto di forti pressioni, fino al punto che viene impedito loro persino di lavorare. Tra i vari media, la stampa in particolare continua a essere al servizio esclusivo del presidente Ben Ali e del suo governo.

I media vietnamiti sono tutti controllati dallo Stato. Di conseguenza, le voci dissidenti si rifugiano su Internet dove circola ormai l'informazione indipendente. Nel 2003, le autorità hanno rafforzato la repressione arrestando molti cyberdissidenti del paese. Il giornalista Nguyen Dinh Huy, di 71 anni, è in carcere dal 1993 per aver militato a favore della libertà di stampa.

Dal 1° gennaio 2004 :
sono stati uccisi 13 giornalisti nel mondo. L'Iraq è il paese dove il rischio di morte è particolarmente elevato: nei primi mesi dell'anno, sono stati uccisi 10 giornalisti e collaboratori dei media. In totale, dall'inizio della guerra in Iraq (marzo 2003), sono stati uccisi almeno 23 giornalisti nell'esercizio delle loro funzioni professionali: di questi, almeno sei sono stati uccisi per mano dell'esercito americano.
6 collaboratori dei media sono stati uccisi,
431 giornalisti sono stati messi sotto inchiesta,
366 giornalisti sono stati minacciati o aggrediti, mentre
sono stati censurati ben 178 media.

Al 3 maggio 2004, ci sono 133 giornalisti prigionieri in 22 paesi del mondo. Le più grandi prigioni del mondo sono Cuba (29 giornalisti detenuti), la Cina (27), l'Eritrea (14), l'Iran (12), e la Birmania (11). Inoltre, 73 cyberdissidenti (di cui 61 in Cina) sono prigionieri per aver diffuso le informazioni su Internet. In confronto, nel 2003 sono stati uccisi: 42 giornalisti, 766 sono finiti sotto inchiesta, 1460 sono stati aggrediti e minacciati e 501 media censurati.

Rapporto annuale 2004 sulla libertà di informazione

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