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Rohingya: “non ci si può permettere di essere gentili”?
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Dall’ultima escalation della violenza nel giugno 2012 più di 100.000 Rohingya appartenenti a questa minoranza senza diritti di fede musulmana sono fuggiti dal Myanmar e dalle violenze della maggioranza buddista lasciando spesso alle spalle famiglie che vivono in squallidi campi di sfollati. Dal gennaio 2015 ad oggi i Rohingya in fuga sono stati circa 25.000 e centinaia quelli dispersi e morti in alto mare, perché, a quanto pare, tutto il mondo è paese quando si tratta di migranti. Solo la scorsa settimana circa 350 migranti Rohingya provenienti dalla Birmania su imbarcazioni di fortuna gestite da trafficanti senza scrupoli sono stati abbandonati al largo della Tailandia senza carburante, cibo e acqua. A bordo centinaia di profughi, donne e bambini denutriti. Lo ha denunciato Chris Lewa, responsabile dell’Arakan Project, un’associazione che monitora le condizioni di questa minoranza musulmana discriminata in Myanmar e che il Governo considera immigrati clandestini del Bangladesh, anche se molte famiglie hanno vissuto per generazioni in Birmania e potrebbero rientrare a pieno titolo nelle minoranze etniche del Paese. Per una legge sulla concessione della cittadinanza del 1982 essi non possono prendere la cittadinanza birmana, non possono viaggiare senza un permesso ufficiale, possedere terreni e sono tenuti a firmare un impegno a non avere più di due figli. In realtà, secondo Amnesty International, la popolazione musulmana Rohingya continua a soffrire per violazioni dei diritti umani da parte della dittatura militare birmana fin dal 1978 e anche per questo i Rohingya sono stati descritti dalle Nazioni Unite come “il popolo meno voluto al mondo” e “una delle minoranze più perseguitate”.
Nelle ultime settimane più di duemila migranti, tra Rohingya e bengalesi in fuga dalla violenza e dalla povertà, sono approdati sulle coste malesi e indonesiane. Ma molto altri sono stati respinti in mare aperto. Le autorità indonesiane hanno ordinato ai pescherecci di non aiutare i migranti, a meno che le loro barche non stiano affondando. I pescatori possono fornire cibo, acqua o carburante alle barche, ma non possono portare i migranti a riva poiché sarebbe illegale. Le Nazioni Unite hanno condannato il rifiuto dei paesi del sud est asiatico di soccorrere migliaia di migranti provenienti via mare e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha lanciato un appello ai governi per salvare le migliaia di migranti che si trovano in in mare, appello che per ora rimane inascoltato.
Proprio a seguito del rifiuto di Malesia e Indonesia di accogliere oltre 1.200 profughi rohingya birmani l’Associazione per i popoli Minacciati (APM) ha accusato l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) del fallimento collettivo in questioni riguardanti i diritti umani. “L’ASEAN è corresponsabile della tragica situazione in cui versa oggi la popolazione Rohingya - ha spiegato l’APM - Invece di spingere la Birmania/Myanmar a una soluzione politica e pacifica della conflitto nel paese, l’ASEAN ha per decenni ignorato di vedere la crescente e sempre più grave persecuzione in atto contro i Rohingya in Birmania. L’esodo di massa dei Rohingya e la fuga dalle violenze non può quindi sorprendere e a maggior ragione l'atteggiamento dei paesi che si rifiutano di accogliere persone disperate e allo stremo è vergognoso e inumano”.
L’APM non è la sola a richiamare l’attenzione su quanto sta succedendo in quest’angolo di Asia. Anche l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha aspramente criticato la politica adottata dai paesi confinanti con la Birmania. In Malesia ad esempio la marina militare il 14 maggio ha prima impedito l’attracco di due barconi con complessivamente più di 800 persone a bordo e poi li ha trainati in alto mare. Un portavoce della marina militare malese ha dichiarato che “il paese non si può permettere di essere gentile”. Una dichiarazione che l'APM ha considerato oltremodo cinica e opportunista visto che, sia la Malesia che l'Indonesia sono corresponsabili della tragedia in corso, in quanto “anche questi due paesi hanno per decenni fatto finta di non vedere quanto accadeva nel paese vicino, e nonostante nel 2012 abbiano approvato la dichiarazione per i diritti umani dei paesi ASEAN, non si sono in nessun modo impegnati affinché questi venissero rispettati all'interno della comunità di paesi ASEAN, e anzi, si sono attivamente impegnati per l’ammissione della Birmania/Myanmar nella comunità nonostante le gravi persecuzioni di Rohingya da decenni in corso nel paese”.
Intanto un summit in Tailandia il 29 maggio (che governo di Myanmar già minaccia di boicottare) è stato annunciato dal ministero degli Esteri thailandese per affrontare “l’aumento senza precedenti dell’immigrazione irregolare”. “Il vertice speciale rappresenta un invito urgente alla regione a lavorare insieme”, si legge nella nota, ma le possibilità di accogliere rifugiati e migranti, come accade in Europa, non sembra entusiasmare neanche la Tailandia. Se, infatti, la destinazione preferita di molti Rohingya è la musulmana Malesia, molti di essi approdano in Tailandia, dove vengono respinti in mare o tenuti prigionieri, si sospetta con la complicità delle autorità locali, fino al pagamento di un riscatto da parte delle famiglie che sono già riuscite a scappare dal Myanmar. Da tempo, vista la situazione, l'APM denuncia l’aumento del traffico di esseri umani proprio in relazione alla tragedia dei Rohingya in Birmania e mette in guardia la comunità internazionale sulla necessità di impegnarsi maggiormente per una soluzione politica del conflitto del paese asiatico con questa minoranza. Intanto finché la Birmania si rifiuterà di concedere ai Rohingya la cittadinanza tolta nel 1982, i paesi vicini hanno l’obbligo di accogliere e il dovere di “permettersi di essere gentili”, soprattutto quando più che di gentilezza, si parla di diritti umani.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.