Rischio greenwashing nel mercato dei crediti per il clima

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Foto: Unsplash.com

Sta per partire, sotto l'egida dell'Onu, un nuovo meccanismo per lo scambio internazionale di crediti di carbonio. È stato uno dei (pochi) risultati della Cop29 sul clima a Baku. Ma, già prima di iniziare, le critiche e i dubbi si moltiplicano, per la mancanza di regole adeguate. Per gli attivisti del clima è greenwashing: uno stratagemma per continuare a inquinare, un passo indietro nella lotta al riscaldamento globale. I dati, per ora, danno ragione agli scettici. Nell'ambito dei sistemi di scambio adottati fino a oggi, meno del 16% dei crediti di carbonio corrisponde a una reale riduzione delle emissioni.

di ELISA COZZARINI

Di crediti di carbonio si parla dai tempi del protocollo di Kyoto, il primo accordo internazionale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, entrato in vigore nel 2005. L’anno successivo diventava operativo il Meccanismo di sviluppo pulito (Clean development mechanism – Cdm), che permetteva agli Stati industrializzati di ottenere crediti di emissione – Cer, in cambio del sostegno economico a progetti nei Paesi in via di sviluppo, che avrebbero dovuto portare benefici ambientali in termini di riduzione di gas-serra e di sviluppo economico e sociale nel Sud globale. In questo modo, la parte ricca del mondo, responsabile storica del riscaldamento del pianeta, pagava per rimediare alle proprie emissioni.

Da Kyoto a Parigi, fino a Baku

Dieci anni dopo, alla Cop21, la Conferenza Onu delle parti sul clima di Parigi, erano ormai chiare le distorsioni di quel meccanismo, inefficace e accompagnato da corruzione e violazioni dei diritti umani. L’articolo 6 dell’Accordo di Parigi prevede l’avvio di un nuovo mercato dei crediti, con regole tali da evitare i problemi del Cdm. Ma da allora, a tutte le Cop successive, il tentativo di trovare un accordo sui nuovi standard è fallito. Fino a quest’anno: a Baku, il giorno uno, è stata annunciata in gran fretta l’approvazione di uno schema internazionale per lo scambio dei crediti di carbonio, che dovrebbe entrare in vigore già nel 2025 sotto l’egida delle Nazioni unite attraverso uno specifico organismo di controllo. Grazie a questo meccanismo, Paesi e industrie potranno raggiungere la neutralità climatica e miliardi di dollari verranno destinati a progetti di conservazione ambientale: è il punto di vista dei sostenitori. Per i critici, invece, si tratta di uno stratagemma per continuare a inquinare, segnando un passo indietro nella lotta al riscaldamento globale

Azione per il clima o greenwashing?

Secondo gli attivisti della rete Climate land ambition and rights alliance – Clara, di cui fanno parte diverse organizzazioni internazionali come ActionAid, Greenpeace e Oxfam, il rischio è che le maglie del nuovo meccanismo restino troppo larghe, permettendo per esempio un doppio conteggio dei crediti. Ma, soprattutto, alcuni progetti nei Paesi del Sud globale potrebbero essere realizzati a spese delle comunità locali. «Un mercato che dà la possibilità di compensare le emissioni di gas serra non è altro che una scusa per continuare a inquinare, non è un’azione per il clima. Le regole di cui si è discusso a Baku non impediranno il ripetersi delle stesse distorsioni che abbiamo già visto», scrivono gli attivisti di Clara. «Non è una coincidenza che il mercato dei crediti sia stato approvato durante quella che doveva essere la Cop della finanza per il clima. Per i Paesi sviluppati l’acquisto dei crediti è la soluzione più comoda, ma non è ciò che serve al Sud globale, né al pianeta». Una delle obiezioni è che lo stoccaggio temporaneo di carbonio nel suolo e nelle foreste non può compensare emissioni di gas serra che restano in atmosfera per millenni...

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