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Riprendiamoci la città
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Foto: William Bossen da Unsplash.com
Cinquant’anni fa, in un orizzonte ancora non dominato dall’imminenza di una catastrofe ecologica, questa parola d’ordine trasformata in programma era stata lanciata – in un’arena sociale, territoriale, generazionale e di genere differenziata, ma sotto la spinta di una classe operaia allora in lotta quasi permanente – come sbocco necessario di un conflitto che voleva superare l’impianto meramente operaista delle principali lotte in corso. Oggi dobbiamo ripensare radicalmente un processo, mai interamente definito e concluso, di progressiva riappropriazione di spazi, strutture, servizi, beni comuni, poteri decisionali. Un processo in cui, tra le altre cose, la democrazia della partecipazione tenda progressivamente ad esautorare le funzioni di quella rappresentativa che si rivela sempre più impotente.
È sbagliato prospettare la transizione ecologica come mera sostituzione di fonti di energia rinnovabile a quelle fossili perché le cose possano continuare a svolgersi come prima. Ci sono molti altri fattori che incidono sul riscaldamento globale e che incideranno sull’organizzazione delle nostre vite.
Innanzitutto, l’agricoltura industriale che insterilisce e uccide il suolo, impedendogli di assorbire carbonio ed emette gas che contribuiscono al riscaldamento della Terra molte volte più della CO2.
La maggior parte dei suoli coltivati e delle derrate prodotte è destinata all’alimentazione animale, cioè alla produzione di carne e latticini, che per questo sono fra le cause maggiori dei cambiamenti climatici. Anche il riscaldamento dei mari e degli oceani riduce la loro capacità di assorbire carbonio.
Sono processi che continueranno ad aumentare il riscaldamento globale per decenni anche se l’emissione di CO2 cessasse domani; il che, ovviamente non può succedere: non solo perché, anche volendo, la costruzione degli impianti per la generazione di energia rinnovabile richiede tempo, ma soprattutto perché la necessità di lasciare gli idrocarburi sotto terra non è ancora entrata nella testa della maggior parte della gente e soprattutto in quella di coloro che con i fossili fanno profitti o pensano che abbandonarli minerebbe il loro potere.
Poi, lo scioglimento del permafrost emette metano e la scomparsa dei ghiacciai e delle calotte polari aumenta l’assorbimento del calore prodotto dai raggi solari. Sono processi che si alimentano da soli, spingendo il riscaldamento globale verso l’irreversibilità...
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