Rio +20, un fallimento che chiama in causa tutti

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Siamo soddisfatti dei risultati raggiunti”, “La firma di questo documento testimonia l’impegno dei governi per le tematiche ambientali”. Le dichiarazioni di circostanza si susseguono e assumono un tono ormai monotono a Rio centro, il centro conferenze che ospita la parte ufficiale dell’incontro ONU sullo sviluppo sostenibile. Fanno eco le lacrime di chi sperava ancora che il documento uscito dalla conferenza avrebbe davvero indicato la strada verso “il futuro che vogliamo”. Nulla di tutto questo: solo parole vuote che rimarcano l’ipocrita preoccupazione dei governi delle grandi economie per il degrado ambientale del nostro pianeta.

E così tutti (Agenzie ONU, ONG, società civile, governi, ...) cominciano a pensare al dopo Rio, domandandosi cosa ci abbia insegnato questo fallimento.

La prima lezione probabilmente riguarda il nostro modo di immaginare l’azione politica. La scollatura tra le strategie adottate dai progetti locali in merito di politiche ambientali e la prudenza dei governi è sempre più evidente. Alle numerosissime esperienze molto positive adottate da amministrazioni locali e ai piccoli progetti non corrisponde poi una volontà politica globale. è ora che i cittadini, le amministrazioni locali e i singoli governi facciano quello che deve essere fatto per garantire un futuro dignitoso alle future generazioni, senza usare come alibi l’assenza di politiche vincolanti di coordinamento globale.

La seconda importante lezione che la società civile dovrebbe imparare è che non è più possibile “chiamarsi fuori” quando le cose non vanno come vorremmo. Il fallimento di Rio è un fallimento tanto di Rio Centro quanto della Cupola dei Popoli, che pure ha elaborato un documento di intenti. Anche all’interno delle conferenze ufficiali centinaia di persone hanno condiviso speranze, sogni, progetti concreti per realizzare il futuro che vogliamo. Vi erano membri delle agenzie ONU, delle ONG, Scout, Associazioni di donne africane, membri di pannelli scientifici come l’IPCC, tutti a chiedere maggior coraggio ai governi sui temi dello sviluppo sostenibile. Un mondo fatto di oltre 500 eventi che la cupola dei popoli non ha saputo o voluto vedere. Si è chiamata fuori, ha detto “noi con rio+20 non c’entriamo, non è colpa nostra, i governi non hanno accettato le nostre proposte”. Invece bisogna imparare a “chiamarsi dentro”. A farsi carico anche di una parte delle responsabilità di un fallimento. A riconoscere gli errori fatti e le oggettive difficoltà nell’essere dei soggetti in grado di dialogare con la politica e l’economia. Se non saremo capaci di prenderci la responsabilità dei nostri sbagli non riusciremo mai a costruire un progetto che abbia un valore politico.

L’ultima lezione, infine, ha un respiro più ampio della tematica ambientale. E si riassume in un’immagine. Mercoledì, per le strade del centro di Rio si è tenuta un’allegra manifestazione della cupola dei popoli. Una marcia che ha coinvolto 80 000 persone in un carnevale di colori e musiche. Una carica di entusiasmo che ti dava l’idea che il mondo intero fosse lì con te, preoccupato per quanto stesse accadendo alla conferenza ONU.

Invece bastava allontanarsi di pochi passi dal percorso che la musica viene coperta dalle voci di vita quotidiana di migliaia di persone del tutto indifferenti al passaggio del corteo. Quando si partecipa a un evento così faraonico come è stato Rio 20 si ha l’impressione che tutto il mondo sia lì ad ascoltarti. Invece no, il mondo è fuori e continua la sua vita di sempre, incurante di quello che accade nel parco Du flamengo o nel centro fiere di Rio. La sfida più grande che abbiamo davanti è quindi quella di coinvolgere davvero la società per costruire assieme il futuro che vogliamo. E per farlo c’è bisogno di un pensiero nuovo, capace di parlare sia all’operaio che all’imprenditore, all’economista, all’impiegato, al contadino... E non lo raggiungeremo mai se continueremo a pensare che la colpa di ciò che sta accadendo sia sempre altrove. La sfida per il dopo Rio è aperta e la responsabilità per le future generazioni è anche nelle nostre mani. Sapremo farla nostra fino in fondo?

Matteo Conci di ritorno da Rio de Janeiro

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