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Rilanciare lo sviluppo in Africa. Ma a vantaggio di chi? Le ricette del Nepad
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Un'Africa libera dalla fame, dalle malattie, dall'ignoranza e dalla corruzione. Chi potrebbe mai avere qualcosa da ridire su un simile scenario, indicato enfaticamente dal summit sub-regionale del Nepad (Nuovo Partenariato per lo sviluppo africano) tenutosi il 29 ottobre scorso come l'obiettivo prioritario al quale dovrebbero collaborare tutti i governi del Continente? Eppure, se dalle dichiarazioni d'intenti si passa ad analizzare le misure concrete che i leader presenti al vertice hanno proposto al fine di alleviare le sofferenze dei popoli africani, non si può non rimanere colpiti dalla miopia che le caratterizza.
Tanto per fare un esempio, secondo il presidente kenyota Mwai Kibaki, che è intervenuto in veste di ospite al summit - svoltosi al Kenyatta International Conference Centre di Nairobi - "il ruolo vitale del settore privato locale, insieme a quello degli investitori privati stranieri, dovrebbe essere incoraggiato". Rimane tuttavia da capire per quale motivo anni e anni di investimenti stranieri in Africa - in particolare in Kenya, dove operano grandi multinazionali del calibro della Del Monte - non sono serviti a creare "sviluppo" e a fermare l'esodo dalle campagne e il dilagare della povertà. Ancora, sempre parlando al summit - che ha interessato solo una parte degli Stati africani aderenti al Nepad, quelli situati nelle regioni orientali del Continente - il primo cittadino ugandese Yoweri Museveni ha esplicitamente esortato i colleghi a "emulare le nazioni sviluppate nelle strategie da esse adottate nella ricerca e nel conseguimento del loro status attuale". Un ragionamento impeccabile, se non fosse per le conclusioni a cui porta, difficilmente condivisibili dalle élites africane. Chi può negare, infatti, che la crescita del mondo industrializzato ha avuto nel diritto/dovere di proteggere la produzione nazionale, negli investimenti pubblici e nel Welfare State il volano che ha portato all'ampliamento delle basi produttive e alla diffusione del benessere?
Interventi come quelli dei presidenti di Uganda e Kenya - insieme al ruandese Paul Kagame unici capi di Stato presenti al vertice, per il resto disertato da quasi tutti i leader della regione orientale - sembrano dunque confermare lo scetticismo di molte associazioni e organizzazioni non governative sul Nepad. Quest'ultimo, nato dalla fusione del Millennium Partnership per il rinnovamento dell'Africa (Map), promosso dai presidenti di Sudafrica, Algeria e Nigeria, e del Piano Omega, proposto a suo tempo dal presidente senegalese Abdoulaye Wade, ha ricevuto il placet dei Paesi che contano in occasione del vertice del G8 di Genova nel luglio 2001. Successivamente (aprile 2002) si è tenuta ad Accra, la capitale del Ghana, una conferenza promossa dal Consiglio per la ricerca delle scienze sociali e dello sviluppo insieme al Network Terzo Mondo-Africa, che ha prodotto una "Dichiarazione sulle sfide dello sviluppo africano" contenente alcune durissime critiche al piano d'azione approvato a Genova. Secondo i ricercatori e gli attivisti riuniti ad Accra, dietro al Nepad si celerebbe il tentativo, da parte di Paesi ricchi e classi dirigenti locali, di riproporre le solite politiche di "sviluppo" ispirate dalla dottrina del "Consenso di Washington", vale a dire dall'insieme di ricette che Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale sono solite dare ai Paesi debitori per rilanciarne l'economia e favorirne la crescita. Queste comprendono soprattutto privatizzazioni, apertura indiscriminata agli investimenti esteri, liberalizzazione del commercio e abolizione delle barriere doganali, deregulation, contenimento della spesa pubblica e conseguente riduzione del carico fiscale, liberalizzazione dei tassi di interesse, ecc. Il Nuovo Partenariato consisterebbe dunque, secondo la "Dichiarazione", in "un insieme di vecchie idee a cui sarebbe stato dato un nome nuovo", e sarebbe caratterizzato da un'ottica neocolonialista, che rischia di ridurre ancora di più le economie africane a semplici esportatrici di materie prime ed importatrici di manufatti.
Un'ulteriore scorsa alle dichiarazioni dei leader presenti a Nairobi - riportate in un lungo articolo comparso il 30 ottobre sull'edizione on-line del quotidiano keniota Daily Nation (www.nationaudio.com/News/DailyNation/Today/) - lascia in effetti pochi dubbi. Sempre Kibaki ha proseguito il suo intervento sostenendo che gli obiettivi di sviluppo prioritari del Nepad - quegli stessi che il presidente keniota intende affidare all'intervento salvifico del settore privato - hanno a che fare con settori strategici quali "agricoltura, salute, scienza e tecnologia, commercio, sviluppo delle risorse umane, infrastrutture e espansione industriale". In sostanza, gli Stati africani dovrebbero impegnarsi a bandire qualsiasi forma di intervento pubblico nell'interesse dei rispettivi popoli, ciò che non si discosta molto da quanto avvenuto negli ultimi due decenni nella gran parte del Continente, con risultati che parlano da sé. Meno compromettenti (anche perché più vaghe) le dichiarazioni di Kagame, il presidente ruandese rieletto lo scorso agosto con percentuali bulgare (v. Adista n. 71/03).
Grande lettore di Mao e del Che, formatosi alla scuola del nazionalismo a vocazione sociale di Julius Nyerere, storico presidente della Tanzania e figura carismatica per tutta una generazione di leader africani, Kagame si è sforzato di coniugare il rispetto di alcuni dogmi neoliberisti (privatizzazioni e apertura agli investimenti esteri) con un ambizioso programma di lotta contro la povertà, comprendente la completa gratuità dell'istruzione primaria, la costruzione di unità abitative e ingenti aiuti all'agricoltura.