Quel giorno alla Moneda con mio zio Salvador

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Foto: M.I. Bussi in uno scatto dal suo profilo Linkedin

Quella mattina andai da lui a La Moneda a chiedergli un’arma, perché ero malvista e mi sentivo insicura nel quartiere della borghesia capitolina dove vivevo; mi rispose che non ne aveva e che sarebbe stato forse meglio che tornassi a stare da loro. Non l’avevo mai visto così: teso, emaciato, tremendamente solo…”.

Maria Inés Bussi ci sta raccontando dell’ultima volta che vide suo zio, Salvador Allende, tre giorni prima del golpe. Più che un’intervista la nostra è una conversazione aperta con la nipote del Presidente cileno: “cinquant’anni dopo, sottolinea lei, il suo assassinio”. Perché fin dal primo momento Inés non ha mai dubitato che fosse stato ammazzato. “Il generale Palacios, a capo dell’assalto a La Moneda, era apparso in tv con una mano bendata affermando che lo doveva a colui che non aveva voluto arrendersi; con suo figlio che nei giorni successivi ostentava al polso l’orologio di mio zio. Successivamente fu dimostrato che Allende era stato ucciso da due proiettili di armi diverse”.

L’abbiamo raggiunta a Tzepotlan, poco lontano da Città del Messico, dove dopo i primi tempi a Parigi, ha passato la maggior parte del suo esilio da giornalista freelance (oltre che a Roma e Ginevra). Anche se dopo la fine della dittatura militar/neoliberista di Augusto Pinochet non ha mai mancato di trascorrere ogni anno qualche mese dai suoi familiari in Cile. Ma stavolta, per questo tragico anniversario, non se l’è sentita proprio di andarci. Tanto più dopo aver perso nel dicembre scorso la sorella Ana Maria. “Si stava recuperando da un cancro quando è arrivata a settembre la sconfitta del plebiscito di riforma della Costituzione; da quel momento lei, che si era impegnata fin dal primo momento in quel progetto, si è lasciata morire”.

Un trauma per la nazione intera che non è riuscita a scrollarsi di dosso la “magna carta” del generale tiranno, riducendo oggi il paese in una situazione “tossica”, come l’ha definita recentemente la due volte presidente (socialista) Michel Bachelet. “Il pur volenteroso Gabriel Boric, continua Inés, privo di una maggioranza in Parlamento che gli avesse permesso di portare a termine una riforma fiscale oltre che dei sistemi previdenziale e sanitario (in mano ai privati), ha commesso l’ingenuità di alimentare l’idea che questo voto fosse un referendum sul suo governo. E la destra fascista ne ha approfittato, tanto più per il fatto che con l’inflazione i prezzi erano andati alle stelle mentre col crescere della criminalità (casuale o indotta?) la gente in Cile si sente sempre meno sicura”...

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