Quando le potenze si disputano isole strategiche

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Da sempre le isole sono contese tra gli Stati che si affacciano sullo stesso mare. Così accade per gli arcipelaghi collocati nelle acque che bagnano Russia, Cina e Giappone. In un tempo più o meno recente si sono combattute guerre per il possesso di isole a volte sperdute e disabitate ma dall’alto valore strategico. Incontriamo per esempio il caso delle isole Kurili o delle isole Senkaku, rispettivamente a nord e a sud del Giappone, tornate alla ribalta della cronaca per alcuni incidenti diplomatici avvenuti negli ultimi mesi.

Può stupire che nel mondo globalizzato, nel pieno di una crisi economica e finanziaria senza precedenti, le cancellerie si accapiglino intorno a minuscoli territori contesi e ad azioni di valore simbolico. Eppure la geopolitica contemporanea e parte del nostro futuro si giocano proprio sul controllo del mare da dove transitano indispensabili materie prime. Per questo occorre tenere d'occhio anche i mari che ci sembrano lontani.

Le isole a nord e a sud dell’arcipelago giapponese sembrano una lunghissima catena di perle che ornano idealmente la fascia costiera tra il Mar del Giappone e il Mar cinese orientale. In realtà sono nodi strategici di primaria importanza, terre disputate da sempre tra paesi confinanti, luoghi in cui antichi conflitti non sono mai terminati, isole che simbolicamente rappresentano i possibili epicentri di ulteriori tensioni.

Le isole Kurili, controllate oggi dalla Russia ma rivendicate dal Giappone; l’arcipelago di Okinawa, dove sono presenti varie basi militari americane con più di 20.000 uomini e che il Giappone vorrebbe allontanare; le isole Senkaku, giapponesi ma reclamate dalla Cina come suoi possedimenti; e infine l’isola di Taiwan: ecco le principali questioni che, come una faglia lunga migliaia di chilometri, dividono le grandi potenze affacciate sulla riva occidentale del Pacifico. Spaccatura che ancora una volta vede contrapposti Cina e Stati Uniti, veri attori politici di questi primi anni del secolo.

Queste vicende potrebbero sembrare di poco conto ai nostri occhi ma rivelano la presenza di situazioni irrisolte che ricordano un passato non molto lontano di guerre sanguinose, di occupazioni, di massacri indiscriminati della popolazione civile inerme. Le stragi della seconda guerra mondiale sono per fortuna oggi sostituite da piccoli incidenti marittimi (che diventano però in un attimo gravi crisi diplomatiche), da convocazioni urgenti dei rispettivi ambasciatori, da visite più o meno storiche, da toni retorici utilizzati abitualmente dal mondo orientale.

Occorre rendersi conto però che la “fine della storia”, profetizzata da Francis Fukuyama, non si è ancora compiuta e che, purtroppo o per fortuna poco importa, le questioni politiche internazionali vertono ancora su elementi pesanti come i problemi dell’approvvigionamento energetico o le sfere di influenza territoriali, oppure sul posizionamento strategico degli eserciti o magari sull’orgogliosa rivendicazione di terre che apparterrebbero storicamente alla nazione come patrimonio inalienabile. Non bisogna mai sottovalutare questi aspetti quando si progettano iniziative di risoluzione pacifica dei conflitti o si elaborano innovative e sostenibili strategie di sviluppo, per non sognare un inesistente mondo idillico governato esclusivamente dalla diplomazia e dalla soft power.

Nelle ultime settimane alcuni incidenti marittimi e una visita storica hanno fatto da detonatore di antiche dispute. Per la prima volta dal dopoguerra un presidente russo ha messo piede sull’ultima isoletta dell’arcipelago delle Kurili a un tiro di schioppo dalla grande isola giapponese di Hokkaido. Nei primi giorni di novembre il presidente Medvedev è sbarcato sui “territori settentrionali” (questo il nome dato da Tokyo alle isole contese) per rimarcare un’appartenenza non solo di fatto ma pure per rivendicare come prossima una politica di sviluppo e di sfruttamento intensivo di quel territorio. Scontata la reazione giapponese che ha ritirato il suo ambasciatore a Mosca.

Ci si può domandare il perché si riaprano proprio adesso nuove pagine di una lunga e tormentata storia delle tensioni tra Russia e Giappone, quando il contesto internazionale si modella su ben altre istanze. In realtà la situazione sul campo vede riproporsi un’alleanza tra paesi ex-comunisti (Russia, Cina, Vietnam) in chiave ovviamente antiamericana.

Molti segnali vanno in questo senso, al di là delle dichiarazioni della dirigenza cinese a sostegno del viaggio di Medvedev: esercitazioni militari russe al largo delle isole Kurili avvenute in luglio; spostamento ufficiale della data in cui la Russia ricorda la fine della seconda guerra mondiale al 2 settembre, giorno della resa giapponese; una dichiarazione congiunta a seguito di un incontro tra Medvedev e Hu Jintao nella quale si denunciava il tentativo da parte nipponica di riscrivere la storia recente. La dirigenza russa è anche preoccupata da movimenti separatisti operanti nei territori più orientali della federazione che in quest'ultimo periodo hanno moltiplicato i loro proclami e le loro azioni. Trovare quindi un nemico esterno, fosse anche soltanto simbolico, è quindi molto utile per sviare l'attenzione su temi più complicati.

Ma se guardiamo con attenzione questi sono tutti episodi che evidenziano una chiara tendenza. Si tratta della riproposizione degli schemi della guerra fredda in un contesto comunque completamente diverso: in questa fase storica tuttavia è l'economia a dettare l'agenda e i governi sono più preoccupati della volatilità in borsa o della rivalutazione dello yuan piuttosto che delle dispute territoriali. Tuttavia sarà in questa parte del pianeta che si assommeranno molte questioni dirimenti per come si evolverà il futuro globale. Un motivo in più per tenere d'occhio anche i mari lontani.

Piergiorgio Cattani

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