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Quando la natura è sul mercato
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Va di moda fare e disfare. In termini di riciclo, riuso e creatività, e nulla di più positivo possiamo pensare per ridurre con il nostro piccolo contributo la gigantesca impronta ecologica che caratterizza il nostro vivere sulla terra. Ma va di monda anche perché, al pensare-e-poi-fare, preferiamo spesso il fare-senza-pensare, e forse, ancor più, nutriamo proprio un certo gusto per la filosofia dell’intanto-facciamo-che-poi-ci-penseremo. Perché il correggere, il rattoppare e il riaggiustare sembrano guadagnare sempre più spazio rispetto alla prevenzione. Un esempio su tutti? Pensiamo all’approccio adottato nei confronti delle problematiche causate dalle emissioni di carbonio: utilizzato fino a oggi, peraltro in maniera fallimentare, per aiutare il settore privato a ridurre le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale del pianeta e quindi dei cambiamenti climatici, esso ruota attorno a una parola chiave: compensare. E proprio per mettere in discussione le strategie adottate e segnalare l’urgenza di abbandonare ogni piano che possa in qualche modo favorire la distruzione indiscriminata della natura per un personale profitto di pochi, più di diecimila cittadini (tra privati e associazioni) hanno inviato pochi giorni fa una lettera (scaricabile qui) indirizzata al Commissario europeo per l’Ambiente per porre un veto a ogni piano volto a introdurre meccanismi di mercato che abbiano la finalità di compensare la perdita di biodiversità.
Durante la scorsa estate la Commissione aveva infatti deciso di promuovere una consultazione sul tema, dopo che il gruppo tecnico di esperti (dominato guarda caso da esponenti del settore privato) che lavorava alla cosiddetta “No net loss initiative“ (specificata nell’obiettivo 2, azione 7 della European Biodiversity Strategy to 2020) aveva suggerito alla Commissione stessa di ricorrere al meccanismo delle compensazioni per affrontare l’emergenza della perdita di biodiversità in Europa e sull’intero pianeta.
La lettera inviata dalla società civile, inizialmente indirizzata a Janez Potočnik, passerà dal 1 novembre prossimo sulla scrivania di Juncker, che dovrà affrontare la questione: al momento, con i nuovi meccanismi di compensazione, chi distrugge la biodiversità in un determinato sito sarebbe tenuto a finanziare un progetto di protezione della biodiversità in misura equivalente in un altro posto, in Europa o anche fuori dell’Ue, oppure a comprarsi crediti generati da progetti ambientali e venduti sui mercati. Cosa significa? Che le “equivalenze” tra le varie specie naturali saranno sviluppate a tavolino, pallottoliere alla mano, con matrici matematiche. Tutto ciò andrebbe a tradursi in un business tutt’altro che irrilevante per una pletora di nuovi consulenti ambientali. La domanda fondamentale da porsi rimane poi un’altra: tutto ciò servirà davvero a ridurre la perdita di biodiversità?
Le istanze rappresentate nella lettera si fondano infatti su alcune riflessioni significative, a partire da quella secondo cui questo tipo di compensazioni – altrimenti dette offsetting – corrispondono a una sorta di “licenza a produrre scarti“. Senza contare che, in molti casi, hanno favorito l’approvazione di proposte di sviluppo che si inserivano su antiche foreste, pascoli di immenso valore e aree dedicate alla comunità per il tempo libero. Azioni che corrono sul filo di un messaggio molto pericoloso: la natura è rimpiazzabile. Ma sappiamo tutti – e se non lo sappiamo è bene che ci informiamo – che la biodiversità e l’ecosistema sono unici nella loro complessità ed è pressoché impossibile ridurli a un sistema di “crediti” come molte strategie di compensazione tenderebbero a fare.
L’accusa è dunque rivolta a quelle forme di compensazione della biodiversità che di fatto mascherano una distruzione autorizzata della natura, che però è persa per sempre e che comporta, oltre a un irrimediabile impoverimento di varietà preziose e indispensabili, anche un accesso sempre più ridotto delle comunità agli spazi naturali, influendo in maniera più o meno diretta sulla salute delle persone, sul loro benessere, sulle loro possibilità di svago.
Questo significa che, se l’Unione Europea e gli stessi Stati membri sono realmente preoccupati di perdere biodiversità, essi devono riconoscere che il sistema delle offsetting non può che peggiorare la questione. La proposta sottoscritta dalle associazioni e dalla società civile è piuttosto quella di implementare un sistema giuridico che protegga a monte la biodiversità, volto appunto alla prevenzione più che al rimedio, e tale da dedicare uno sguardo critico agli usi impropri del territorio, elaborando piani di sviluppo locale in collaborazione piuttosto che in opposizione alle comunità locali. Questo perché le economie siano strutturate nell’interesse dei cittadini e non delle grandi aziende.
Un lettera che evidenzia ancora una volta l’importanza di considerare la natura un bene comune verso il quale ciascuno ha diritti ma anche responsabilità. Ogni politica volta a proteggere la biodiversità non può prescindere da queste considerazioni.