Quando il naufragar in questo mare non è affatto dolce...

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In questi giorni assolati e caldissimi l'opinione pubblica italiana è stata investita da una polemica "politica" di vaste dimensioni innescata dagli sbarchi di immigrati clandestini a Lampedusa e più in generale sulle coste della Sicilia.

Polemica che ha visto esponenti della Lega Nord accendere le polveri ed intervenire con assoluta durezza contro il ministro degli Interni Pisanu accusato di non applicare la legge Bossi-Fini e, in sostanza, di non avere fegato sufficiente per buttare a mare quanti tentano di sbarcare in Italia.

Non credo sia neppure il caso di commentare le parole di alcuni esponenti della Lega Nord che, anche a motivo di polemiche interne alla maggioranza di governo generate in realtà da ben altri motivi, non ultimo la cocente sconfitta elettorale in Friuli Venezia Giulia e ad Udine, hanno usato termini, concetti ed argomentazioni che il ministro Pisanu ha definito con grande eleganza "da osteria".

Credo invece più utile sottolineare alcuni elementi di fondo che segnalano l'incapacità, da parte di una consistente porzione dell'opinione pubblica italiana, di comprendere la realtà, anche nella sua crudezza.

Media boomerang

Giovanna Zincone (Repubblica del 25 giugno) sottolinea come i partiti oggi al governo si trovino nella difficile situazione di chi dall'pposizione ha per anni trattato in modo ideologico il tema dell'immigrazione non riuscendo poi, una volta al governo, a mettere in campo una reale politica dei processi migratori.

Al punto che gli stessi processi mediatici utilizzati per costruire la paura da immigrazione (uno dei temi centrali, assieme alla criminalità e alla sicurezza della passata campagna elettorale) si sono oggi trasformati in un boomerang per quanti avevano sostenuto che mai e poi mai ci sarebbero stati nuovi sbarchi di clandestini. Ed invece pare proprio che realtà non intenda obbedire all'ideologia ed i media sono lì a certificare, con le immagini della disperazione e delle carrette di naufraghi, il fallimento dell'operazione. Con conseguenti derive demenziali e disumane quali gli inviti a buttare a mare quanti tentano di giungere in Italia.

La disobbediente realtà…

Un ulteriore elemento paradossale consiste nel mancato riconoscimento del dato strutturale riferito ai processi migratori. Il ministro dell'interno, nel riferire alle Camere, ha finalmente detto ciò che sta sotto gli occhi di tutti, ovvero che l'Italia è, a livello europeo, uno dei paesi a minore presenza di cittadini immigrati e che quindi occorre attrezzarsi all'idea che il numero di cittadini stranieri non potrà che aumentare, e sensibilmente, nei prossimi anni.

Ancora una volta la "dura realtà" si rifiuta di adeguarsi agli slogan: da un lato non si vorrebbero immigrati in giro per le nostre città, dall'altro il sistema produttivo reclama a gran voce quote numericamente sempre più consistenti di permessi di soggiorno.

E' anche questo, occorre precisarlo, un modo abbastanza rozzo e strumentale di guardare al fenomeno migratorio inteso solo in chiave strumentale. Tuttavia si tratta pur sempre di un ragionamento che collide con quanti teorizzano la ridicola necessità di preservare l'inesistente purezza di una fantomatica "Razza Piave". Ancora una volta le ragioni della cruda realtà non ammettono artifici dialettici: se vuoi mangiare le mele occorre che qualcuno raccolga le mele. Se non lo vuoi fare tu occorre che lo faccia qualche altro individuo. E tu non lo vuoi fare, quindi la ricchezza del Trentino e la tua stessa possibilità di mangiare mele ad un prezzo accessibile dipendono dalla presenza di cittadini stranieri che raccolgono mele per te.

Con parole del buon vecchio Hegel: ciò che è reale è razionale. Dura lezione della storia.

Un pianeta di naufraghi

Ovviamente si può sostenere che una cosa sono gli ingressi legali e ben altra cosa gli sbarchi clandestini. Vero, verissimo. Tuttavia, se da un lato occorre pur sempre ammettere, come fa il ministro degli Interni Pisanu, che una percentuale minima (perché di questo si tratta) di clandestini è quasi fisiologica entro il complesso processo migratorio, dall'altro non va sottaciuto che i fattori espulsivi ed attrattivi non obbediscono a logiche nazionali quanto piuttosto a processi globali.

Come la stessa Italia sa bene (malgrado siano in atto fortissimi processi di rimozione della propria storia di povertà e di migrazione) chiunque viva una situazione di povertà assoluta o di violenza non potrà fare altro, per cercare di migliorare la propria situazione, che cercare di emigrare verso paesi e società dove, almeno relativamente, la propria situazione esistenziale sia migliore.

Insomma: se l'Africa è un continente alla deriva, se sono oltre un miliardo le persone che "vivono" con un reddito di 2 dollari al giorno, non ci si può poi stupire degli assalti alle frontiere.

Certamente è possibile sostenere, e molti lo fanno, che in fondo la povertà degli altri non dipende da noi ma da processi endogeni alle economie dei paesi in via di sviluppo.

Personalmente ritengo semplicistica tale affermazione ma, assumendo pure, per amore di argomento, la sua veridicità, ciò non toglie il dato di fatto: una situazione di povertà e di violenza, comunque causata, costituisce una forte motivazione al tentativo di fuga, legale o illegale che sia.

Se poi si pensa, come ha sottolineato nei mesi scorsi una agenzia dell'ONU, che le mucche europee costano ogni giorno 5 dollari di sussidi statali e/o comunitari e che tutte le produzione agricole mediterranee dell'Europa non riuscirebbero a stare sul mercato se non vi fossero azioni di protezionismo nei loro confronti (una specie di dumping all'incontrario) allora si può ben capire come tutti i discorsi sugli aiuti e sulla cooperazione altro non siano che pietose bugie, retoriche vuote, parole al vento.

Detto in altro modo: la globalizzazione economica di stampo neo-liberista costituisce una delle cause (e non una delle terapie, come alcuni vorrebbero) della disperazione che è all'origine di una parte dei processi migratori. Se la ricchezza viene considerata appannaggio di pochi è bene sapere che questi pochi non potranno che essere assediati dai molti esclusi. Dal pianeta dei naufraghi come li chiama Serge Latouche.

Etnicizzazione delle relazioni sociali e politica della sicurezza

Conseguenza prima di un simile modo di pensare è la lettura in sola chiave di sicurezza di tutto il fenomeno migratorio.

Confondendo sicurezza sociale con militarizzazione della società, il rischio che abbiamo davanti è quello di pensare che il governo dei processi migratori possa avvenire solo con gli strumenti di polizia. In questo modo l'immigrato sarà sempre più considerato come un pericolo da cui difendersi. Certo un lavoratore necessario ma mai e poi mai un cittadino con pari diritti, dignità e doveri. Da qui l'etnicizzazione delle relazioni sociali, ovvero l'utilizzo della chiave etnica per leggere le dinamiche sociali, le relazioni, i conflitti.

Ma, per dirla con un famoso intellettuale svizzero: "Abbiamo chiesto braccia e ci hanno mandato uomini". Continuare a considerare i cittadini stranieri solo come braccia comporterebbe almeno la necessaria sincerità per chiamare le cose con il loro vero nome: il modello di società dove le persone si suddividono in cittadini di serie A e cittadini di serie B si definisce "apartheid". E' questo che vogliamo?

 

Un terribile senso di solitudine

I primi giorni di giugno ho partecipato alla conclusione di un complesso progetto di ricerca sulla cittadinanza multiculturale a Reggio Emilia e Modena. Implicati nel percorso erano due importanti studiosi di sociologia dei processi migratori: Fouad Allam e Marco Martiniello.

Seppure appartenenti a diversi contesti culturali e con opinioni e teorie in parte divergenti, i due studiosi sono stati concordi nel dire che oggi un terribile senso di solitudine sembra caratterizzare quanti si interessano di questioni multiculturali.

Il ministro Pisanu mi sembra un esempio calzante e perfetto. Chi si occupa di questioni multiculturali è lasciato solo, non ha alle sue spalle né consenso da parte dei cittadini né comprensione ed aiuto da parte delle istituzioni. Come un medico che a suon di stare con i malati di Sars o di peste viene dopo un po' messo lui stesso in quarantena ed abbandonato perché lo si reputa rischioso.

Non credo sia difficile capire, peri lettori i questa rubrica, che la stessa cosa sta avvenendo anche in altri ambiti ed in altre situazioni. A scuola…..per esempio.

I nodi dell'educazione interculturali sono stati pian piano cancellati, rimossi, nascosti.

E chi continua ad occuparsene percepisce un senso di sempre maggiore solitudine.

Cittadini di cosa?

Eppure, lo si voglia o no, il nodo delle città multiculturali e della necessaria ridefinizione della cittadinanza multiculturale non può essere eluso per troppo tempo.

Anzi, più questo nodo viene rimosso, nascosto, eluso, più c'è il rischio di assistere poi ad improvvise esplosioni di processi non più governabili.

Non si può andare avanti per troppo tempo trattando le persone solo come braccia. Non si può considerare gli immigrati risorse solo economiche e non anche culturali, sociali, politiche.

Non affrontare il nodo dell'interazione e dell'integrazione, della necessità di negoziare nuovi stili di vita e persino nuove regole di convivenza rischia di condurci velocemente sul bordo del baratro.

Essere ciechi di fronte alla realtà comporta sempre bruschi e brutti risvegli.

E qui torna in primo piano il ruolo della scuola come spazio di educazione alla convivenza democratica, luogo di sperimentazione e negoziazione della nuova cittadinanza planetaria.

Ma la scuola vorrà farsene carico? Oppure anche rispetto a ciò dirà "No"?

Se così fosse potremmo chiedere a Roberto Maragliano di aggiungere un capitolo al suo ultimo saggio e, di conseguenza, di cambiarne anche il titolo: "La scuola dei quattro no".

di Aluisi Tosolini
Fonte: Pavone Risorse

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