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Primi profughi del Kurdistan - racconto di Gino Strada
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Qui la gente ha paura. Sulle strade si vede un gran movimento di persone che fuggono come può, anche se non si capisce dove vadano. I confini sono chiusi e, quindi, vie d'uscita dal Paese non ce ne sono". È Gino Strada che parla, il chirurgo italiano è arrivato ieri ad Erbil, Iraq del nord, nella zona controllata dal Partito democratico del Kurdistan (Pdk). "Il viaggio fin qui è stato lungo, sono partito da Kabul, in Afghanistan, dove Emergency ha un ospedale, fatto scalo negli Emirati Arabi ho raggiunto Damasco, in Siria. Di lì, in una decina di ore di macchina sono andato fino al confine con l'Iraq. Posti di frontiera o ponti non ce ne sono. Il Tigri si attraversa in barca. Si fa per dire, se hai molti bagagli, quasi sfiori il livello dell'acqua. D'altra parte mi aspettavano i miei collaboratori con un'altra auto e dopo altre cinque ore di auto siamo arrivati ad Erbil. Meno una tempesta di sabbia, comunque tutto è andato bene". Nel giugno 1997, l'organizzazione di Strada cominciò lì la costruzione di un Centro chirurgico per vittime di guerra. Il centro è in funzione dal giugno 1998 ed adesso ha 125 letti ed una equipe 115 tra medici specialisti ed infermieri. Ci sono, poi, 105 altri collaboratori, guardie, personale per le pulizie, la manutenzione. Il 'dottor Gino' come spesso la gente lo chiama, continua: "La paura principale è quella dell'attacco chimico, le esperienze del passato hanno segnato la popolazione, non hanno maschere o protezioni e le case non possono essere sigillate"La situazione in Afghanistan non è certo facile, lì un'altra guerra ed una altra emergenza richiede la presenza di equipe mediche, ma Strada è partito per l'Iraq. "Dovevamo potenziare le nostre strutture mediche, per questo sono venuto qui, abbiamo la sensazione che la guerra possa avere effetti drammatici. Qui si è tra due fuochi, a sud gli iracheni, a nord i turchi. Non si hanno notizie certe, ma comunque la gente parla di turchi in arrivo e questo potrebbe rendere la situazione ancora più seria". I profughi, in questo momento, sembrano essere il problema maggiore. A differenza del sud del paese, dove le temperature sono alte, qui con le montagne il clima è rigido e questo reca disagio a chi ha lasciato le proprie abitazioni. "Adesso che sono fuori - dice Gino - che ti parlo col satellitare, fa un gran freddo. Questa guerra, come tutte le guerre, è un errore. Abbiamo mandato a casa tutti i malati che potevamo dimettere per essere pronti e abbiamo già predisposto i piani di emergenza. I chirurghi, tranne me tutti iracheni, sono pronti a entrare in azione". I venti di guerra si avvicinano a questo posto sperduto nel Kurdistan iracheno, il 'dottor Gino', coi suoi colleghi, aspetta: "No, davvero non so quando tornerò a casa". (a cura di Roberto Bàrbera)