Popoli indigeni: minacciati da clima e nuove fonti energetiche

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Si è celebrata ieri, 9 agosto, la "Giornata internazionale dei popoli autoctoni", istituita nel 1994 dall'Assemblea generale dell'Onu. Dal 2004 le Nazioni Unite hanno inoltre proclamato il "Secondo decennio a internazionale dei popoli indigeni e tribali", per rafforzare la cooperazione internazionale al fine di risolvere i problemi che hanno di fronte i popoli autoctoni nella conservazione delle loro culture, dell'educazione, la sanità, i diritti dell'uomo, l'ambiente e lo sviluppo economico e sociale. "I 370 milioni di persone appartenenti a popoli indigeni continuano ad essere vittima di discriminazioni, povertà e conflitti" - ha detto il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon invitando ad la comunità internazionale un azione "urgente" in loro difesa.

"Dovremmo ascoltare i popoli indigeni: con la loro vasta conoscenza dell'ambiente in cui vivono, possono e devono giocare un ruolo cruciale negli sforzi globali per contrastare i cambiamenti climatici" - ha affernato Sha Zukang, sottosegretario generale ONU per gli Affari economici e sociali.

Un'occasione per ricordare anche che questi popoli sono tra i più minacciati dal surriscaldamento planetario, dovuto alle attività umane nei paesi più industrializzati e alle emissioni di gas serra: "Gli Inuit dell'Artico non possono più cacciare in sicurezza perché il ghiaccio si rompe attorno a loro. Gli isolani del Pacifico vedono scomparire gli atolli di corallo sotto il mare. Gli abitanti dei Caraibi sono colpiti da violenti temporali. Le tribù del Borneo vedono le loro foreste pluviali prendere fuoco. I tibetani si chiedono perché i loro sacri ghiacciai si stanno sciogliendo e perché le loro piante medicinali stanno scomparendo" aveva chiaramente evidenziato il Simposio internazionale sui popoli autoctoni tenutosi ad aprile scorso presso l'Università di Oxford.

E proprio sui problemi climatici e dell'energia punta il dito l'Associazione per i Popoli Minacciati - APM che ha lanciato un allarme sulle conseguenze della 'scoperta' del biodiesel da parte dell'Europa. "Solo in Malaysia e Indonesia 47 milioni di persone appartenenti a diverse popolazioni native sono vittime dirette dei progetti governativi di aumentare l'estensione delle piantagioni di palma da olio, destinate alla produzione del cosiddetto biodiesel" - afferma un comunicato di APM. La Malaysia e l'Indonesia insieme rappresentano da sole l'85% dello sfruttamento mondiale di palma da olio e i paesi asiatici prevedono per il prossimo anno di sacrificare enormi aree boschive e forestali a nuove piantagioni, nonostante le aree interessate siano il territorio ancestrale di diverse popolazioni native. "Le popolazioni indigene si troveranno quindi derubate e spogliate delle loro case, della loro base esistenziale economica e in ultimo anche della loro cultura e identità" - denuncia APM.

Sono numerosi i paesi in cui vengono violati i diritti delle popolazioni indigene per creare piantagioni di palma da olio. Si sa con certezza che sia in Colombia sia in Cambogia diversi popoli sono stati cacciati con la forza dalla loro terra, mentre diversi rapporti di organizzazioni per i diritti umani parlano di lavori forzati nelle piantagioni di palma da olio della Birmania. L'APM chiede che qualsiasi progetto di nuova piantagione non solo sia sostenibile da un punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista sociale. [GB]

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